Regia di Mike Leigh vedi scheda film
Capita, a volte, che sia difficile scindere il giudizio sul “mezzo” da quello sull’ “oggetto”.
Turner rientra fra questi casi.
Tanto più che Turner (film) si presenta esattamente come Turner (artista). Pare, cioè, non preoccuparsi affatto di piacere al pubblico. Conta la mera soddisfazione personale e la convinzione di contribuire al prestigio dell’arte tout court, a beneficio di tutti (scena in cui il pittore rifiuta una sorta di “offerta indecente”).
È ben vero (per contro) che le dolci sirene di madre natura paiono un richiamo irresistibile per il direttore della fotografia. Quest’ultima (dunque) sfrutta senza esitazione (ed in maniera eccellente) le sinuosità ed i cromatismi della natura - il cui spettacolo costituisce il termine di paragone della produzione pittorica dell’artista - onde stregare il pubblico innanzi al tentativo impossibile della riconciliazione fra la docile forza degli elementi e l’irruente ghiribizzo della creatività umana (eppure il pennello di Turner, fine estensione del suo corpo, tradisce finanche un’inusitata finezza considerando con quale padronanza il protagonista sfoggi tutte le inflessioni dell’alfabeto animale, benchè i grugniti vadano per la maggiore).
Nondimeno, se ben se lo può permettere Turner (pittore; il più famoso e capace fra quelli inglesi), dubito che la ruvida, intimista autoreferenzialità (galaverna) possa giovare, altresì, a Turner (film).
Già il protagonista ci mette del suo; viene dipinto, infatti, come un molosso burbero e sgraziato; vuoi eclettico signore nei salotti che contano vuoi spigoloso umorista; bestia (del tutto umana, d’altronde) rantolosa quando dismette i panni dell’artista ispirato (lasciandosi alle spalle le sue rutilanti tempeste, i bagni di luce, le eruzioni violente dei moti ondosi del mare).
Ma Turner (film) non tergiversa sul tentativo di ricomporre la frattura fra forma e sostanza; fra la rudezza dell’uomo ed il fine avanguardismo della sua arte. Esso si trascina, (troppo) fiaccamente, senza clamori, per la sua strada (lastricata di tanti piccoli eventi), ruvida e sconnessa anche quando sullo sfondo campeggiano corrusche distese di luce e pace e gli unici echi della guerra sono quelli interiori del protagonista (ben nascosti, per vero, sotto vari strati di boria e pappagorgia). Una pervicacia (quella di M.Leigh) tanto rigorosa quanto deleteria.
Sentita (ma sul filo della caricatura) l’interpretazione di T.Spall.
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