Regia di Mike Leigh vedi scheda film
I meriti di questo piccolo e grandioso film sono tanti e vanno ripartiti tra più persone. Perché piccolo? Non vuole assolutamente essere un termine riduttivo: l’ultimo lavoro del regista pur restando nel suo territorio di autore di sentimenti affronta con piglio deciso e preparato la biografia di un personaggio ingombrante.
I meriti di questo piccolo e grandioso film sono tanti e vanno ripartiti tra più persone. Perché piccolo? Non vuole assolutamente essere un termine riduttivo. Mike Leigh ha caratterizzato la sua intera opera di storie minimaliste, di rapporti intimi, di sentimenti privati al massimo confidati agli amici più fidati, a cui ci si rivolge per le proprie difficoltà. È sempre stato così e il film precedente a questo ne è l’esempio più classico anche se non meno degli altri: Another Year è un luogo mentale, oltre che una casa, ove un gruppo minimo di conoscenti si riuniscono in casa di Tom e Mary e ognuno di questi porta le proprie problematiche cercando affetto, comprensione e speranza. Così come negli altri film di Leigh.
Ciò che, a mio parere, contraddistingue l’ultimo lavoro del regista è che pur restando nel suo territorio di autore di sentimenti affronta con piglio deciso e preparato la biografia di un personaggio ingombrante, e non solo dal punto di vista fisico. William Turner è vissuto a cavallo del ‘700 ed il secolo seguente segnando fortemente e senza dubbio in maniera rivoluzionaria l’arte della pittura inglese, e non solo, di quel periodo. Infatti la declinazione della sua arte prendeva fortemente ispirazione osservando la natura, specialmente nei momenti più ribelli: tempeste, giornate ventose, mari tutt’altro che calmi, quando invece o suoi colleghi perseveravano con i soliti quadri piatti e convenzionali, con la speranza che piacessero soprattutto alla corte reale. Le sue lunghe e solitarie passeggiate erano proficue e quando tornava nella sua casa londinese, il padre gli faceva trovare pronta tutta l’attrezzatura per riportare immediatamente su tela tutto quello che la sua mente aveva registrato durante quelle lunghe escursioni campestri, effettuate, si noti bene, in vari luoghi europei, anche in Olanda, dove evidentemente trovava i colori, i tramonti e le albe che lo attiravano di più. Fu in questa maniera e con le sue opere che realizzò i primi quadri di quello che poi fu chiamato impressionismo e che in seguito ebbe il vero battesimo in Francia.
È quindi proprio per raccontare la vita e i rapporti con gli altri pittori dell’epoca e con la società intera londinese che Mike Leigh allarga il suo orizzonte e ci mostra questo simpatico e solo apparente burbero personaggio nell’ambito della vita di società. Espone con grande chiarezza e abilità registica l’ambiente che frequentava Mr. Turner come anche l’atmosfera che si respirava nella Londra di quei tempi. In contrapposizione con la vita pubblica, il lato più simpatico del film riguarda la vita privata del pittore, con il bellissimo, sincero e passionale rapporto con la vedova che lo ospitava nella sua linda locanda quando si recava in riva al suo amato mare, dove la sua ispirazione si accendeva ancor di più, anzi si incendiava.
Essendo già al corrente delle candidature per la notte degli Oscar del 2015, mi sento di affermare che aver completamente trascurato il nome di Timothy Spall mi è sembrato al limite del reato di opinione. L’attore, molto presente nei film del regista inglese, stavolta è assurto ad assoluto protagonista fino a dividere col regista i meriti della bellezza e della riuscita del film. Spall è a dir poco strabiliante e performante, completamente nel ruolo. I suoi grugniti sono una melodia nell’ambito del film, sono quasi un commento musicale armonico; il suo faccione con la perenne espressione insoddisfatta ma nello stesso tempo – a guardare bene – bonaria non si dimentica per molti giorni e si esce dalla sala con un sorriso. Spall non è solo bravissimo per tutta la durata del film (è praticamente presente in tutti i 150’) ma raggiunge l’apoteosi quando, accompagnato al pianoforte di una sua amica, canta una canzone di quei tempi con una voce che ricorda fortemente il formidabile Tom Waits: una meraviglia!
Un altro pezzo di merito va alla eccezionale fotografia di Dick Pope, perché senza il suo contributo la luce, i colori, la pittura di Turner non sarebbero arrivati a noi con il giusto messaggio. Mike Leigh ha insomma confezionato un piccolo capolavoro, non solo dal punto di vista cinematografico ma anche come lezione di storia dell’Arte e inoltre spiegando ai tanti inetti registi come si deve girare un film biografico, al contrario di ciò che è successo a James Marsh e il suo mediocre biopic su Stephen Hawking. Grande, grandissino film con una firma di autentica classe.
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