Regia di Ira Sachs vedi scheda film
“L’amore è strano”, cita più verosimilmente ed opportunamente il titolo originale rispetto a quello ruffiano preso in prestito qui da noi; e le bizzarre circostanze che ne dovrebbero suggellare la manifestazione, possono, come in questo caso, rivelarsi letali e nocive per la sua ideale celebrazione.
Quando una anziana ed affiatata coppia omosessuale che convive da quasi quarant’anni sotto lo stesso tetto, decide di convolare finalmente a nozze legalizzando un unione di fatto ormai perfettamente consolidata, le circostanze avverse si accaniscono contro di lei: il più giovane dei due perde il posto di insegnante di musica presso la parrocchia cattolica ove da oltre tredici anni prestava servizio curando anche i successi del coro della chiesa; con la sola pensione del più anziano, i due si vedono costretti a vendere la casa in cui abitavano, non più in grado di mantenerla, e nel periodo necessario per entrare in graduatoria per l’assegnazione di un alloggio più popolare, i due si vedono costretti a venir accolti, separatamente, da parenti ed amici, costringendosi reciprocamente ad un periodo di separazione forzata.
Il film del bravo e sensibile regista Ira Sachs, scandaglia a fondo i sentimenti a pelle di chi, amico o parente, si vede costretto a rinnegare quella disponibilità che sulla carta aveva ostentato divenendone paladino, accogliendo il proprio caro investito da un destino avverso ed ostile.
Ecco allora che non una, ma molteplici intimità familiari vengono a meno con l’allontanamento forzato e forzoso della coppia.
In una New York dei ceti medio-alti, dove la cultura si sposa o va a braccetto con la vita quotidiana e rende i suoi protagonisti degli inguaribili, romantici puri, forti di una ingenuità che li fa affogare verso l’indigenza da una parte, e verso la deriva dei sentimenti dall’altra, la tragedia sfiora con la punta della bacchetta quel concerto di vite che si avvita su se stesso per cercare di risolvere la problematica, e facendosi trafiggere da altre vicissitudini e da vecchi rancori o questioni lasciate in sospeso, che riaffiorano pungenti e lancinanti oltre ogni sospetto.
Regia elegante ma anche sobria, scenografie ovattate sin quasi a sfiorare la maniera, una musica classica pertinente e raffinata che ricorda certi felici momenti di cinema alleniano, I toni dell’amore si avvale soprattutto di due attori giganteschi come John Lithgow e Alfred Molina che rendono invisibile o di poco conto anche qualche manierismo o vezzo registico evidentemente irrinunciabile.
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