Regia di Ira Sachs vedi scheda film
Film perfettamente al passo coi tempi e con personaggi figli del suo tempo storico: uomini al crepuscolo dell’esistenza, emancipati sessualmente, senza lavoro o con pochi soldi di pensione. Con due personaggi così, un film tutto sommato innocuo come questo I toni dell’amore si inserisce in almeno tre filoni del cinema contemporaneo americano, tra l’indie e l’industria: il cinema per e con anziani, il cinema sull’identità di genere, il cinema sulle difficoltà economiche. Più il cinema sulle relazioni familiari che è comunque un evergreen.
Lo spunto della storia (la forzata separazione di due maturi sposi che devono abbandonare la propria casa) non si allontana troppo da un piccolo classico dimenticato della nostrana cinematografia, il misconosciuto Buon Natale… buon anno dell’allora già vegliardo Luigi Comencini con Virna Lisi e Michel Serrault. Ironia della sorte, proprio Serrault è stato uno dei due protagonisti (l’altro era Ugo Tognazzi) del più emblematico dei film sui rapporti di coppia tra omosessuali, il travolgente e caricaturale Vizietto.
Insomma, collegamenti astrusi a parte, questo film rappresenta, con estrema leggerezza espressiva e solida mancanza di eccessi o sentimentalismi, la possibilità di costruire un film robusto e al contempo delicato attorno ad uno stato d’animo: la malinconia del distacco. Per di più colta nell’autunno dell’esistenza, tra i sessanta e i settanta, e quindi contraddistinta da una maggiore nostalgia del tempo andato e da un inevitabile bisogno di fuggire la solitudine quasi naturale.
Lo svolgimento della narrazione si dipana con la quiete pacifica del film medio americano, senza particolari guizzi istrionici né, fortunatamente, ricorrendo a formule consunte o patetiche, eppure pare mancare ogni tanto di un volo poetico da tenero melodramma o di un sorriso spensierato da commedia sofisticata. È come se si lasciasse cullare oltremodo dalla musica romantica e malinconica che l’attraversa per tutta la durata, eccettuato il meraviglioso incontro al pub con finale struggente in squallido contesto.
Ottime interpretazioni dei due finissimi protagonisti, con John Lithgow una piccola spanna sopra Alfred Molina solo perché il film si concentra un po’ di più sulla sua convivenza con la schizofrenica famiglia del nipote (funziona di meno quella, più prevedibile, di Molina con i poliziotti gay festaioli). Ira Sachs ha la saggezza minimalista di lasciare fuori dalla scena il dolore plateale e quasi mai abbandona i suoi personaggi alla solitudine fisica (i familiari, gli amici, gli allievi abitano sempre la scena con loro: e quando restano soli, ecco il dramma), forse per esaltare la straziante necessità di Ben di voler stare con George e viceversa.
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