Regia di Steve Della Casa, Maurizio Tedesco vedi scheda film
Quentin Tarantino non ha mai fatto mistero di essere cresciuto con i b-movies italiani degli anni '60 e '70. È noto che prima di diventare una celebrità, egli facesse il commesso in un negozio che noleggiava VHS, dove ebbe l'occasione di guardare tonnellate di cassette di ogni genere, dedicandosi soprattutto al cosiddetto poliziottesco all'italiana, all'horror e al western. Tutti elementi che ritornano sotto forma di esplicito tributo in film come Bastardi senza gloria, remake dell'omonimo film di Enzo G. Castellari, o Django unchained, liberamente ispirato al Django di Corbucci, con Franco Nero a fare da ideale trait-d'union tra le due opere. Il mediometraggio firmato dal critico cinematografico Steve Della Casa (avrete ripetutamente ascoltato la sua voce alla trasmissione radiofonica Hollywood party) e del produttore Maurizio Tedesco va alla ricerca di quelle radici, proponendo un'ora di documentario durante la quale viene data voce ai protagonisti di quella stagione cinematografica, come Umberto Lenzi, Lamberto Bava, Fernando Di Leo, Ruggero Deodato, Romolo Guerrieri e Luciano Martino. I quali, a sdoganamento avvenuto, si sentono padroni di spararle grossissime davanti alla macchina da presa ("a quell'epoca ero il regista più pagato d'Italia", ci notifica Riccardo Freda, autore di pietre miliari come Teodora imperatrice di Bisanzio, I giganti della Tessaglia, Maciste alla corte del Gran Khan, L'orribile segreto del Dr.Hitchcock, Maciste all'inferno e La morte non conta i dollari), sanciscono con fiera chiarezza vernacolare le differenze tra il cinema popolare ("me' cojoni!") e quello d'autore ("e 'sti cazzi"), colgono l'occasione per rifarsi della presunta diffamazione subita da parte di tanta critica snob. A vedere questo florilegio di western, poliziottesco, fantascienza, softcore e horror si rimane sconcertati dalla infima qualità delle riprese di quei film e si ha nettissima l'impressione di trovarsi di fronte all'ennesima dimostrazione dell'inarginabilità della cultura trash, di cui personaggi come Marco Giusti da anni si fanno promotori, gente che ha contribuito a una mistificazione e a un'impostura della cultura ormai senza freni. Al tempo stesso, si dimentica che Tarantino ha un genio registico e un talento visivo incommensurabile con quello dei suoi presunti predecessori, che la carica ironica dei suoi film va ben oltre quella di un Alberto De Martino, di un Tonino Valerii o di un Marcello Avallone e che, di questo passo, prima o poi arriverà anche qualche retrospettiva a Venezia dedicata alla cinema della grandissima Valeria Marini.
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