Regia di Alessandro Genovesi vedi scheda film
FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA - GALA
Iniziare un Festival Internazionale con Soap Opera significa essere davvero coraggiosi, o inverosimilmente imprudenti, o forse davvero masochisti.
A Roma è successo e nei miei soli tre giorni di permanenza, senza dirlo apertamente, ma premeditandolo con accurata (e saggia) freddezza e pianificazione, ho preferito trascurare questo filmetto per concentrarmi su molti altri ben più degni e inesorabilmente molto più invisibili, sapendo che una settimana dopo le sale sarebbero state invase da questa debole, debolissima quasi inconsistente operina di Genovesi.
Il titolo, prudente e premeditato, sembra avvisare preventivamente gli spettatori (cosa ci si può aspettare di diverso, di più artificioso e costruito, da un film che mette le mani avanti e denuncia con strafottenza la limitatezza che lo segna in tutto il suo sconclusionato percorso?) di tutto quanto l'artificioso che verrà dato loro in pasto, e dopo un inizio piuttosto divertente con una Caterina Guzzanti anche gradevole nel ruolo dell'amante usa e getta, ecco che tutto si rovina, che i confini della costruzione a tavolino finta e patinata creano quell'irrespirabile senso di chiuso e soffoco, che una costante nevicata ininterrotta ovattante come in una pubblicità vezzosa, unita ad una veduta imbarazzante di quattro interni di una movimentata palazzina residenziale, o ancor più di esterni coperti dalla coltre di nevischio sopra accennata, e attraversati da una incongrua auto d'epoca francamente imbarazzante (fossimo almeno in un film di Jeunet, accidenti!) di proprietà del protagonista, ed ecco che tutti i buoni propositi per pensare che si possa iniziare in modo pertinente un appuntamento cinematografico importante con leggerezza ma intelligenza, frana e si frantuma clamorosamente.
Al centro della “soap” Fabio De Luigi, al decimo film in cui interpreta sempre il medesimo personaggio (con Genovesi siamo al terzo di fila, se non ho contato male), lasciato dalla Capotondi perché la tradiva per leggerezza, ma la ama ancora, e funestato di disavventure: il suo migliore amico scopre di essere infatuato di lui, vuole uccidersi mentre la moglie sta partorendo, ma basta un bacino all'amico per rendersi conto che è tutto un abbaglio (una vicenda che sembrerebbe un insulto ai diversi modi di intendere la sessualità, non fosse davvero così risibile la storiella); la Capotondi è incinta, ma apparentemente di un altro; un vicino si suicida ed arriva nel palazzo una splendida parigina a scombussolare gli animi, mentre una eccentrica attrice di soap amante delle divise fa perdere la testa ad un gigantesco e sornione carabiniere (l'unico attore strappa risate, Abatantuono che sembra il gemello di Pavarotti) e due padroni di casa gemelli “etero”-zigoti...non “omo” (battutone...) costretti a convivere insieme, soli con i soldi risparmiato da uno dei due.
Soap opera è un nuovo esempio della televisione che uccide il cinema, la commedia; l'ennesima occasione per ribadire che i tempi televisivi mal si accoppiano con i comici che popolano questo mondo (Ale e Franz sono davvero fuori posto, da sempre al cinema, inutile girarci attorno, la cruda verità è solo quella, anche a voler sempre sembrare “bastian contrari”, spietati o cattivi); certo poi a rendere banale un Ricky Memphis, ci vuole un grande impegno di scrittura disfattista fradicia di banalità.
Senza contare che il film inizia con un gatto fuori del balcone e la voce di De Luigi che introduce una storia che dovrebbe procedere come un flash-back, ma che poi finisce per procedere per conto suo senza tornare ad agganciarsi all'incipit iniziale.
Non che sia questo il problema, ci mancherebbe, ma un minimo di coerenza narrativa per far quadrare il filo del racconto anche di fronte a tanta disarmante leggerezza, bisognerebbe tenerlo da conto e garantirlo.
Si salva solo, come già accennato, la dentatura felina e accecante del gigantesco Abatantuono, che qui dentro non fa nulla di nuovo, ma ciò che fa viene reso piuttosto bene, come è consueto aspettarci da un grande attore, l'unico in grado di regalare almeno qualche sorriso e un paio di risate grazie a quel suo ghigno magnetico e fluorescente, alla sua debordante strafottenza di tutore dell'ordine propenso alla raccomandazione ad oltranza.
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