Regia di Manuela Tempesta vedi scheda film
A Monopoli, «paese di bacchettoni che ti guardano il culo» (con buona pace dell’Apulia Film?Commission che, evidentemente, non ha letto un copione composto in larga parte da strali lanciati contro il territorio), si consuma la risposta pugliese al già mediocre Burlesque americano. «Sauer ferro e niente cazzét», che ci pensa la Impacciatore a farci sorridere con i suoi francesismi alle cime di rapa, mentre la Chiatti si occupa di appagare un certo senso estetico trasformandosi nell’arco di un taglio di montaggio da moglie casta e mezza cieca a performer disinibita. Non saranno Cher e Christina Aguilera, ma le attrici reggono la durata e duettano con brio, quando intorno a loro tutto va a rotoli. «Questa fa la mignotta», «No, lo striptease», «Sempre mignotta è»: lo script gioca sempre sugli stessi stereotipi, con le pachidermiche tradizioni del popolo retrogrado del meridione a confronto con la modernità portata dalla “figliola prodiga” Giuliana, diventata la ballerina Mimì La Petite e intenzionata a “traviare” le compaesane Matilde, Teresa e Viola. Mentre la morale territoriale si consuma in un buco nero di idee, quella sociale vede Caterina Guzzanti nel ruolo della sindacalista zitella, in un sottotesto a base di picchetti e disoccupazione operaia del tutto avulso dal contesto e buono soltanto a recuperare il cartello di «Film ritenuto di interesse culturale» da inserire prima dei titoli di testa. Ma la domanda è: quale mente può avere ritenuto Pane e burlesque un film di interesse culturale?
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