Regia di John Ford vedi scheda film
Un classico immortale della filmografia western.
Ho approfittato del recente passaggio su RAI Movie di “Sfida infernale” (titolo originale “My darling Clementine”), se non il migliore resta il mio western preferito, per rinverdire i ricordi di quando da ragazzo lo vedevo e rivedevo nei cinema di terza o più infima visione (i “pidocchietti” di periferia) in cui era uso riproporre i film più popolari più volte anche a distanza di anni e anni.
Il film racconta le vicende, ovviamente romanzate, con cui si arrivò alla celeberrima sfida all’OK corral, oggetto di numerosi film di cui questo è il migliore anche se va ricordato pure “Sfida all’OK corral” di John Sturges. Le riprese sono state effettuate nella Monument Valley, come di consueto per Ford, simbolo della wilderness del West più che suggestivo sfondo, messa in risalto dall’ottima fotografia in b/n di Joseph McDonald in cui le nuvole hanno la stessa consistenza di quelle di Gabriel Figueroa.
Il senso del film è quello di rappresentare lo scosceso cammino di una società pionieristica verso la civiltà e l’ordine, cioè il formarsi di una nazione, sintetizzato dalle caratteristiche e dai rapporti fra le famiglie (qui esclusivamente mascoline) degli Earp e dei Clanton e dalla figura di Doc Holliday. La famiglia Earp è capeggiata da Wyatt (grande interpretazione di Henry Fonda) che appare sempre come distaccato da ciò che lo circonda, calmo e sicuro di sé impersona l’ordine rispettoso di una giustizia che trascenda la propria individualità. I Clanton, dominati dal dispotico padre (Walter Brennan in un inusuale ruolo negativo), perseguono i propri interessi contro ogni legge o regola ed ancorati al più selvaggio modo di vivere pionieristico. Doc Holliday, personaggio complesso (reso da un eccellente Victor Mature) è colui che ha abbandonato la civiltà ponendosi al di fuori di essa per seguire i propri principi individuali, conscio della sua alterità e della sua prossima fine. È chiara la opposta specularità tra la famiglia Earp e la famiglia Clanton e la inevitabilità dell’epico scontro che va oltre la vendetta fra questi e Doc Hollliday alleato degli Earp, dando al film un’atmosfera quasi da tragedia shakespeariana in cui alla fine soccombe che è al di là dell’ordine civile.
Nonostante gli interventi della produzione che hanno indotto Ford a lasciare la MGM, sono numerose le scene del film che rimangono impresse: fra queste mi piace ricordare l’incontro dopo la nomina a sceriffo a Wyatt e Clanton senior in cui si squadrano a vicenda prefigurando il futuro scontro e Wyat si presenta come “Earp. Wyatt Earp”, presentazione poi usurpata da James Bond, l’incontro nel saloon con Doc Holliday che dopo momenti di tensione si risolve in un rispetto reciproco, la festa per la costruzione della nuova chiesa che si conclude con l’impacciato ballo di Wyatt con Clementine, il turbinoso inseguimento di Doc e, ovviamente, lo scontro finale. Sono solo alcuni esempi e altri spettatori ne potrebbero preferire altre, comunque tutto il film è una fedele realizzazione della poetica che Ford ha così espresso: «Il cinema migliore è quello in cui l’azione è lunga e i dialoghi brevi.» «Le immagini e non le parole dovrebbero raccontare la storia».
Le interpretazioni degli interpreti dei personaggi comprimari sono tutte calibrate e ben dirette, in particolare quelle di Linda Darnell (Chihahua), Cathy Downs (Clementine),Ward Bond (Morgan Earp), Alan Mowbray (Granville Thorndike).
Il mio giudizio complessivo sul film, che considero un capolavoro della settima arte, è compendiato nel massimo punteggio che gli attribuisco.
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