Regia di Meenu Gaur, Farjad Nabi vedi scheda film
I sogni sono pieni di musica e colori. Ma la realtà è grigia e muta. E, in silenzio, fa i suoi calcoli.
Uscirne vivo. Volare via. Il titolo di questo film pachistano è l’evocazione di un sogno che rinvia ad altri mondi. Ma, questa volta, molto concreti, realmente esistenti. La favola non ha sempre bisogno di un luogo immaginario: può anche abitare in un regno verso il quale si può effettivamente viaggiare, in cerca di fortuna, con il cuore pieno di speranza. L’emigrazione è da sempre il respiro temerario della gioventù che non conosce il benessere, però lo intravvede e se innamora. Per i tre ragazzi protagonisti di questa storia, la vita, nella variopinta Lahore, non ha il colore più desiderato: non è tinta d’oro, ha solo le smaccate tonalità infantili della semplicità, che riversa la sua istintiva gioia anche nella miseria. Per Khalid, Chitta e Taambi ci vuole ben altro che un pittoresco paesaggio naif. Lo scenario ideale è l’Europa. Ad esempio Londra, dove si può guadagnare molto anche guidando un taxi. Per arrivarci le strade possibili sono due, ugualmente difficili: procurarsi un costosissimo visto, oppure varcare illegalmente la frontiera, affidandosi ai trafficanti di esseri umani. I tre amici faranno le loro scelte, e andranno ognuno incontro al suo destino, scontrandosi con la tristezza di una esistenza in cui le cose non vanno quasi mai per il verso giusto, se non per pochi privilegiati: il saggio e ricchissimo Puhlwan ne è l’emblema, lui che si vanta di essere riuscito a trasformare in denaro persino l’immondizia. Le sue parabole sono esempi di una miracolosa giustizia divina che non sembra essere di questa terra, eppure affascina le folle, come se racchiudesse la più evidente e pura delle verità. Quei racconti trasfigurano la realtà, ammantandola di una veste morale dal sapore fantastico, e puntando il dito verso una rivelazione a portata di mano. Sono i contrappunti letterari di un pensiero religioso in senso primitivo, carico dell’idea che sia bello credere in qualcosa, e che ciò basti per sorridere e fare festa. In questo film c’è tanta musica, si canta e si balla, per dare sfogo all’entusiasmo che quella fede subito procura, quando la mente comincia a vagare, fra preghiere, promesse, ringraziamenti. Gli scoppiettanti intermezzi in stile bollywoodiano interpretano il buon umore come un giocoso atto di devozione, che stempera la fatica e le umiliazioni convertendole nell’impegno a reagire, a risollevarsi dalla malasorte, perché così deve essere. Il coraggio si fa melodia, sospendendo la ragionevolezza, e predisponendo l’animo a quella rischiosa sconsideratezza che spinge ad andare oltre, a non porsi limiti, e che può risultare fatale. Una valorosa ebbrezza è la madre di tutte le utopie, la scintilla che innesca l’eroica voglia di cambiare, costi quel che costi; però ogni impresa impone un prezzo da pagare. Questo film ne tiene l’amara contabilità; l’avventura è, di per sé, un vivace intreccio di eventi, una vicenda multiforme ed avvincente, ma, ai giorni nostri, il suo lato drammatico si esprime in cifre. In tempi di crisi, il bilancio è in rosso. Per quanto si investa, si perde sempre. C’è un fossato che separa l’avere dal volere. Troppo facile non vederlo. Quasi inevitabile cascarci.
Zinda Bhaag ha concorso, per il Pakistan, al premio Oscar 2014 per il miglior film straniero.
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