Regia di Seijun Suzuki vedi scheda film
La corrente della Nouvelle Vague sicuramente ha influenzato in modo parecchio evidente questo ponderato ma rapsodico spaccato borghese di Seijun Suzuki. Le riprese frenetiche tra i vicoli di una Tokyo simile alla Parigi godardiana rispecchiano tangibilmente lo spasimo collettivo e le frustrazioni degli adolescenti allo sbaraglio durante il grifagno e deleterio percorso di (de-)evoluzione di una comunità giapponese logorata dal secondo conflitto mondiale. L’energia virulenta, coriacea, vessatoria, manifestata fra i roboanti, sovraffollati spazi architettonici va in rotta di collisione, fin dai fotogrammi introduttivi, contro il lancinante sgomento degli adulti dinanzi all’eccessiva libertà, spesso rovinosa, dei moderni teenagers senza valori né principi morali; l’opening in medias res ne espone un gruppo piuttosto numeroso uscire da un cinema e proseguire nelle luminose strade della grande metropoli. Jiro (l'impetuoso Tamio Kawachi), il main character attorno al quale tutte le distrazioni urbane fungono da scappatoia per allontanarlo fisicamente e spiritualmente dalle istituzioni, passa le giornate a “fraternizzare” tra fumo, alcool e sesso. Dopo la morte del padre la madre Misayo (Tomoko Naraoka) ha instaurato un travagliato rapporto con l’uomo d’affari Keigo (Shinsuke Ashida), così da poter mantenere il figlio. Jiro, però, vede questo legame solo come un lercio vincolo di un deprecabile business, e pensa che la genitrice sia “fondamentalmente poco diversa da una prostituta”. Non può quindi che sfogare le sue apprensioni verso l’amante Toshimi (la febbrile Yoshiko Nezu), una proiezione ovattata della condizione da “baiadera” di Misayo; in “Subete ga kurutteru” la poesia visiva si basa su un continuo, caustico conflitto fra il pubblico e il privato. I particolari del bieco background predisposto non si palesano esclusivamente nella depravazione e la scostumatezza delle figure, o nella costernazione di chi è costretto ad assistere a questo declino culturale ed antropologico della “capitale d’oriente”: con i taglienti movimenti della mdp alle spalle degli attori, le veloci carrellate accidentali nelle diramazioni periferiche e le volgarità gratuite ed abbacinanti, il lungometraggio simboleggia, nei suoi ininterrotti, scabri sottotesti ed ostinati collegamenti alla pop culture, l’imminente avanzamento dell’imperialismo occidentale, il quale, già molto tempo addietro al coinvolgimento nelle operazioni belliche, aveva stravolto per sempre un paese ormai contaminato dai madidi usi, costumi e vizi dell’altra parte del globo. "Everything Goes Wrong" è un totem riottoso sul decisivo “intervallo” di transizione epocale.
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