Regia di Igor Cobileanski vedi scheda film
A Viorel il mondo sfugge. Lui è qui, la vita sta da un’altra parte. Nella cucina accanto, dove i cuochi aspettano che finisca di pelare le patate. Nella casa di fronte, dove Maria, la ragazza di cui è innamorato, si intrattiene con un altro uomo. Ciò che non può possedere è situato altrove, distante e irraggiungibile come le nuvole, verso le quali lui e il suo amico Gasca cercano invano di far decollare il loro deltaplano. La storia è tutta lì, racchiusa in quei mezzi primi piani che isolano i soggetti dal contesto, come se l’insieme fosse solo un’idea astratta, un concetto assolutamente fuori luogo. Si incorniciano gli istanti colti sui visi, gli sguardi che non arrivano lontano, che subito si perdono e non riescono a produrre un significato complessivo. Ai sogni è imposto un tetto: è il limite inferiore del cielo del titolo originale, che comprime la realtà nella piccola striscia che circonda le ordinarie espressioni di una quotidianità ostinatamente sorda al richiamo della felicità. Questo film moldavo declina la mancanza di prospettiva in una nenia dall’accento grigio pallido, in cui anche il crimine perde la sua anima violenta e cinica, per ridursi ad una noiosa abitudine. Fumare erba non è un vizio e non dà sollievo, è una pratica che si è scrollata di dosso l’aura leggendaria dell’ebbrezza, e che appare ormai mutilata dell’esaltante senso del proibito. Smerciare erba, d’altro canto, è un mestiere da poveracci, esercitato con mezzi da quattro soldi, che frutta poco ed espone al rischio del ridicolo. Viorel vi si dedica con vergogna, vedendo la clandestinità come una situazione oltremodo imbarazzante, da confinare nei ritagli di tempo: un mordi e fuggi che corrisponde ad una fastidiosa faccenda da sbrigare al più presto. Quella necessità rientra nella squallida sfera dei desideri che si possono coltivare solo sporcandosi le mani, e rinunciando alla speranza: colpire l’amante rivale con una chiave inglese, rubare un motore per costruire un velivolo artigianale, ubriacarsi, finire in ospedale o in galera, tradire, fuggire e farsi ammazzare. Al di là dell’orizzonte sembra davvero esserci solo la fine di tutto: l’opposta riva, immersa nella notte, offre la morte come unica promessa. Al di qua, la luce permane fredda e uniforme: ma non è più quella della nouvelle vague dell’Est europeo, che prima del crollo dei muri e delle illusioni, ancora sapeva impregnarsi di intimità, di pensiero, di verità in attesa di sbocciare. La voglia di reagire, di resistere al livellamento delle coscienze e alla mortificazione dell’individualità ha ceduto il passo ad una rassegnazione trasformata in un vuoto trastullo, sbagliato nelle premesse e sfortunato negli esiti. La negatività è diventata routine, instaurando una nuova forma di omologazione, morale, anziché politica, che non è più fragorosamente imposta dall’alto, perché agisce subdolamente dall’interno. L’avvento della libertà non ha portato il riscatto: c’è chi è rimasto unsaved, non salvato, abbandonato nel vuoto lasciato dalla retorica, senza alcun appiglio alternativo rispetto alle ideologie ormai tramontate. Il disagio, per una volta, ha origine nella certezza: quella di non avere un punto di partenza che non sia ancorato al suolo, e di potersi tutt’al più inventare un traguardo impossibile, come quello del volo, al quale si oppongono le leggi del cosmo, e che può essere inseguito solo infrangendo inutilmente le regole.
Questo film è stato selezionato per rappresentare la Moldavia agli Academy Awards 2015.
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