Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Esordio di Rosi su una tematica non certo facile,la pervadenza della criminalità nei gangli della società italiana nel secondo dopoguerra, con il suo consueto stile asciutto, non dogmatico anche se con un pizzico di eccessiva drammatizzazione rispetto ad altre sue pellicole
Un esordio con il botto quello di Rosi in questa pellicola del '58, dove già si vedono in nuce tutte le tematiche a lui più care: un realismo quasi documentaristico (che non disdegna l'utilizzo di attori non professionisti),l'eco del neorealismo nell'affrontare tematiche di forte impatto sociale, una drammatizzazione che conferisce pathos e spessore a tutto il film. Certo qualche passaggio è fin troppo melodrammatico, ed appare in parte inverosimile la facilità iniziale con la quale Don Vito occupa spazi nella malavita napoletana, prima feudo di altri capibanda, ma il tentativo sincero di Rosi di non volere a tutti i costi dare un giudizio morale (e moralistico), ma piuttosto lasciare libero lo spettatore di crearsi un suo punto di vista, è comunque encomiabile e riuscito. La Schiaffino è un piacere per la vista con tutta la sua prorompente sensualità (e già sarebbe motivo valido per una visione, unita alla schietta arroganza di Josè Suarez, nella parte di un boss la cui ascesa è tanto rapida quanto veloce ne sarà la caduta).
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