Regia di Pupi Avati vedi scheda film
Se l’avessero intitolato “il bambino incattivito” avrebbero reso meglio l’idea dell’argomento trattato dal film. Infatti il bambino non è affatto cattivo di suo, come il titolo potrebbe far presumere, ma si rifugia nella cattiveria come reazione difensiva all’egoismo, irresponsabilità ed insulsaggine degli adulti. Pupi Avati mette in campo un affresco prodigioso dell’italietta benestante e delle sue istituzioni, senza fronzoli, retorica, demagogia, sentimentalismo e buonismo d’accatto. Il suo è una specie di documentario girato dall’interno del bambino, come se il cuore e la mente del bimbo filmassero e valutassero la situazione da lui vissuta, anzi “subìta”, con i parametri di riferimento della sua età. Gli adulti ne escono con le ossa rotte, salvo eccezioni. Tutto ha inizio da una coppia di genitori che dovrebbero rappresentare il ceto acculturato del paese, non il 72 per cento di semianalfabeti di ritorno cui fa riferimento il linguista Tullio De Mauro nelle sue recenti ricerche, questi genitori dovrebbero appartenere al 28 per cento che si salva, rendiamoci conto di come è ridotto il nostro paese. Il padre è un eterno giovane (mentalmente) egoista ed ipocrita perbenista, che cerca solo di salvare le apparenze, la madre incapace di affrontare con dignità i problemi si rifugia nell’alcool e nella depressione. Il resto della famiglia è in conflitto e competizione come nella migliore delle tradizioni, il bambino è solo l’oggetto dei desideri. Si salva solo la nonna paterna, che cerca seppur ingenuamente e maldestramente di farselo affidare, forgiando alcune scene commoventi. Quasi odiose è puramente burocratiche le assistenti sociali che subentrano nell’occuparsi del bimbo, che per la cronaca e per gli amanti dei nomi storici si chiama Ildebrando detto Brando, per tacere poi dei giudici minorili, per carità di Dio, sensibilità ed empatia sotto zero. Sull’insegnante poi caliamo un secchio di pece bollente: dopo una lunga assenza da scuola, invece di informarsi ed accoglierlo con un minimo di decenza, lo denigra con sarcasmo con l’intento di umiliarlo, provocandogli una reazione minimamente volgare, riuscendo a farlo espellere. E’ ovvio che di fronte ad una società così impattante e stolida, sia a livello famigliare che istituzionale, pur nella sua organizzazione apparentemente capillare, in un bambino in età puberale non può che provocare la chiusura in una difesa ad oltranza nella sua fiera dignità individuale, assumendo quindi un atteggiamento e comportamento apparentemente ostile. Atteggiamento che permane ancora a lungo nonostante le donne del piccolo istituto dove viene affidato siano finalmente persone degne, sensibili ed effettivamente interessate al suo benessere, in particolare la direttrice. Finché arrivano due candidati al ruolo di genitori affidatari e poi adottivi, che avendo perso un figlio alcuni anni prima sono alla ricerca di una creatura nella quale riversare il loro amore. Il bambino dapprima diffida e prende le distanze rendendo vane le speranze della coppia, perché confida ancora nel padre. Ma alla lunga Brando capisce che il padre è solo un egoista indegno che continuerà solo a temporeggiare senza alcuna intenzione di occuparsi di lui e quindi si aprirà alla coppia lasciandosi coinvolgere nelle loro vite. Splendida l’interpretazione della “candidata” madre adottiva (Isabella Aldovini), con una mimica che esprime tutta l’ansia e la tensione ed il timore di non riuscire a scalfire il cuore del fanciullo, indurito dalla sofferenza provocatagli da genitori indegni, manifestando tutto l’amore compresso che desidera potersi esprimere e riversarsi sul ragazzo, rispettandolo ed accettandolo per quello che è. Ottimo film, nitido, pulito, sobrio ed incisivo, e ottimo cast, di quelli che capitano raramente, meglio di cento inchieste sui problemi dell’infanzia, delle adozioni e dei genitori divorziati. Film per famiglie, ma non in stile Disney, ma per una riflessione di gruppo, per aiutare a pensare seriamente e non solo cazzeggiare. Voto finale 7,5
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Purtroppo è così, hai ragione ma non si può far nulla in quanto il voto di film tv è la media dei voti dati noi utenti. Tale situazione diviene poi particolarmente eclatante allorquando un film abbia ottenuto valutazioni eterogenee equamente suddivise tra estimatori e detrattori. Unico rimedio rimane quello di leggere entrambe le tipologie dopodiché prendere visione del film ( oppure il contrario) e farsene una personale opinione. Buona domenica, Paolo.
Credo che nn siano conteggiati i click degli utenti per conferire l'utilità a questa o quella recensione ma esclusivamente i voti ( in n. di stelle) conferite a queste ultime per cui sono sufficienti due valutazioni negative su un film che in totale abbia solo 3 recensioni per affibbirgli un voto negativo. A presto.
Quoto tutto quanto hai scritto Daniele, grazie dei particolari. Ciao ad entrambi, Paolo.
Quoto anch’io quanto ha scritto Daniele, che con le sue “dritte” ha aggiunto preziosi strumenti di informazione per il sottoscritto, maniaco della precisione e ipercritico (soprattutto verso se stesso ). Ho subito verificato il “corpo del reato” (The Objective, che mi è rimasto sul gozzo da circa un anno … ), ed ho notato che è soprattutto a causa della critica di Film Tv che il film è squalificato, perché la media sarebbe di 5, mentre il voto finale è solo 3,7. Questo conferma quanto asserito da Daniele, l’oggettività non esiste in un mondo di soggettività, ed anche le critiche professionali a volte lasciano a desiderare. Il problema è che la vorrei leggere questa critica di Film Tv, ed invece sull’home page del film non c’è, c’è solo il pessimo voto fornito, che non si darebbe neppure ad un cinepanottone. Peccato. Grazie ad entrambi per il bel dibattito che insieme abbiamo fomentato … Mac
Grazie a te Mac per averci "ospitato". Paolo.
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