Regia di Tariq Teguia vedi scheda film
Film militante, "Revolution Zendj" costruisce una strada, scavata nella terra viva dell'utopia e della lotta, tracciandola dall'Algeria alle sponde di confine Iraq-Iran, a sud di Bassora. In questo viaggio ci sono deviazioni, la strada si scompone, ha stazioni anarchiche, come le tensioni sociali in Grecia, e luoghi di ritrovo, come Beirut in Libano, terra di partenza del sogno palestinese, brutalmente interrotto nel 1982 dall'invasione israeliana. In questo scenario complesso e composito, s'inseriscono due personaggi principali, il giornalista algerino, non a caso nomato Ibn Battuta come il famoso esploratore marocchino del 1300, che parte alla ricerca di notizie sulla rivoluzione degli schiavi Zanj, avvenuta nell'attuale Iraq circa dieci secoli fa, e Nahla, figlia di esuli libanesi, anarchica, che torna a Beirut sulle tracce della rivolta del 1982. Tutti e due sono a caccia di fantasmi ormai, di cui, però, la Storia s'innerva e si reinventa. E' un film di rivoluzioni perdute, questo, di sconfitte, ma non di rassegnazione, un film, in qualche modo, anomalo per forza e purezza visiva, in una società, oggi, che è ormai passiva, quasi morta, di fronte a qualsiasi prepotenza istituzionale. Teguia costruisce il suo (enorme) discorso strutturandolo in un film difficile, che necessita di pazienza e dedizione, e, sicuramente, di una buona cultura di base. I rimandi sono molteplici, c'è la letteratura di Whitman, c'è l'America dei Beat, la balena bianca di Moby Dick, e c'è, soprattutto, la Storia del Medio Oriente, più o meno recente e in continua mutazione. Già oggi, con la nascita dell'Isis, il lavoro di Teguia pare già in ritardo, seppure la sua chiave di lettura radicale e poetica rimanga interessante. Cinematograficamente bellissimo, con momenti visivamente sublimi, rimane comunque una visione, ribadisco, non per tutti.
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