Regia di Sergio Pastore vedi scheda film
Sette scialli di seta gialla, cinque hanno già ucciso!
Copenhagen: Susan, un'ex circense drogata e ridotta in miseria (Giovanna Lenzi), viene costretta da un misterioso individuo a uccidere alcune fotomodelle che gravitano attorno all'atelier della stilista Francoise Valley (una Sylva Koscina insolitamente scialba), in cambio delle dosi di eroina. Curiosa la tecnica degli omicidi dei quali è direttamente responsabile un gatto nero di proprietà di Susan. L'animale, attirato da un repellente cosparso su uno scialle di seta gialla regalato alle vittime, si scaglia sulle stesse graffiandole con le unghie intinte nel curaro. Braccata dalla polizia, che si avvale dell'ausilio del pianista cieco Peter Oliver (Anthony Steffen) e della sua fidanzata Margot (Shirley Corrigan), amica della prima vittima e segretaria dell'atelier, Susan viene barbaramente uccisa e il suo gatto gettato sotto i binari della metropolitana. Nel frattempo l'assassino ricattatore uccide a colpi di rasoio tutti coloro che possono riconoscerlo.
Inserendosi temporalmente nella "golden age" del giallo all'italiana, il film porta alle sue estreme conseguenze molti degli stilemi canonizzati da Argento ma nella loro versione più squisitamente popolar-dozzinale e che alla lunga avrebbero fatto deflagrare l'intero genere: storia strampalata che non sta nè in cielo nè in terra ma va bene così, atmosfere cupe, spruzzate di erotismo e un po' di sana e gratuita violenza. A ciò aggiungiamo poliziotti che non cavano un ragno dal buco, detective dilettanti che risolvono l'enigma, invitanti locandine che promettono, dietro il pagamento delle mille lire del biglietto, spaventi a go-go manco fossimo al luna park.
Sergio Pastore (1932-1987) ex giornalista di gossip ed ex marito della ballerina turca Aichè Nanà, reduce da alcuni lavori rimasti pressochè sconosciuti, gira il suo film più noto, avendo finalmente alle spalle una produzione di livello come la "Fida Cinematografica" di Edmondo Amati e facendo leva su un'accoppiata di sceneggiatori esperti come Giovanni Simonelli e Alessandro Continenza, ancorchè abbiano lavorato per l'occasione con la mano sinistra. "Sette scialli di seta gialla cinque hanno già ucciso" è la frase assurda che mettono in bocca all'ottuso commissario incaricato delle indagini (uno sciapo Renato De Carmine), quasi avesse facoltà divinatorie, frase che ben riassume la sciatteria dell'intero script.
Con una regìa che si muove con passo incerto in una trama di rara inverosimiglianza, il film rischia di scorrere via senza alcun colpo ferire, debolmente rinvigorito da soluzioni cromatiche interessanti, immerse in quelle atmosfere sleazy e libertarie tipiche delle città del Nord Europa degli anni settanta. Il tutto fino alla sorprendente scena finale con una Shirley Corrigan affettata a rasoiate nella doccia, quale rivisitazione in chiave splatter della nota scena di "Psycho" e che da sola vale davvero tutto il film.
Sul lato attoriale la star Sylva Koscina, nonostante campeggi tra i protagonisti, riduce la propria partecipazione a poche pose. Abbandonata alla soglia della quarantina ogni velleità di far parte del "gotha" del cinema, l'attrice croata naturalizzata italiana ha preso parte nel periodo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, per motivi alimentari, a una congerie di pellicole minori, segno evidente di una carriera ormai destinata a un inesorabile declino.
Se l'ex re dei western spaghetti Anthony Steffen riveste con efficacia i panni insoliti di un musicista cieco compositore di colonne sonore, quella simpatica canaglia di Giacomo Rossi Stuart è invece un ex magnaccia mantenuto dalla moglie Francoise, che cornifica a più non posso con le ben meno attempate modelle dell'atelier. Tra queste annoveriamo una peperina Isabelle Marchal, un'androgina Annabella Incontrera, guarda caso in parte di una lesbica e una scialba Shirley Corrigan, alla quale va però l'onore della testè citata scena della doccia.
Tra i comprimari, nota positiva per Umberto Raho, elegante e discreto maggiordomo del pianista cieco, mentre una menzione a parte merita Giovanna Lenzi, in arte Jeannette Len, consorte e musa abituale del regista; nell'impersonare la drogata Susan si è fatta imbruttire e invecchiare, dando vita a uno dei ruoli migliori di una carriera non propriamente eccelsa.
Tutto sommato deludente la colonna sonora di un allor giovane Manuel De Sica, dal quale ci si sarebbe aspettati la sperimentazione di nuove sonorità, anzichè il solito e pedestre commento musicale di mestiere di ispirazione morriconeggiante.
Quale ultima chicca, perdoniamo l'incongruenza delle immagini che scorrono alla moviola alla quale sta lavorando il musicista cieco, come se potesse vedere, dato che si tratta di alcune delle sequenze più gore della coeva lucertola fulciana, film di ben altro spessore, anch'esso di produzione "Fida".
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