Regia di Gianluca Petrazzi vedi scheda film
Racconto a mano armata nella Roma odierna, dove un poliziotto dai metodi poco ortodossi raccoglie l’eredità del padre ucciso nei roventi anni 70 e si mette sulle tracce dei responsabili. Anche Petrazzi insegue quel decennio, età dell’oro per il poliziottesco di Lenzi, Massi, Martino e Di Leo. Ma la nostalgia si ferma a poche suggestioni, a un malavitoso vecchio stampo che si chiama “er Toretto” ma fa il verso a “er Monnezza”, con camicioni rossi e occhiali a goccia in memoria di Milian. Il resto è un teatrino di marionette che scimmiottano riferimenti alt(r)i, con strizzatine d’occhio allo sbirro di L’ispettore Coliandro, ai tatuaggi di Educazione siberiana e persino al vecchio amico in sedia a rotelle di Carlito Brigante. Roba da accapponare la pelle. La confezione, televisiva fino al midollo, propone musiche onnipresenti a scandire una narrazione che si muove a stento tra stereotipi e abusate convenzioni, tra squallidi ufficetti della questura e appartamenti topaia contrapposti allo sfarzo del boss colombiano di turno. All’immancabile poliziotto Gargiulo si affianca l’altrettanto imprescindibile “er Patata”, in un campionario romanesco che spazia da «li mortacci» a «me’ cojoni» rinunciando volentieri a inseguimenti duraturi e a sparatorie pirotecniche che necessiterebbero un certo mestiere nella messa in scena e nel comparto cascatori. A questo si aggiungano i camei di Fragasso - in perenne gita premio sui set di genere - e di una Cavallari che serve solo a farci rimpiangere Squadra antimafia - Palermo oggi manco fosse Milano calibro 9.
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