Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
Curioso come si possa ambientare un film al futuro con così grande semplicità. È uno di quei rari casi in cui il futurismo messo in scena è puramente evocativo e simbolico, e non rappresentato attraverso un buffo e fasullo progresso tecnologico. È già tanto che il duello tra il generale Scott e il presidente non si svolga sulla Luna. Le questioni sono troppo terrene per essere soggette ad elaborate contestualizzazioni “fantascientifiche”. La paura che l’era nucleare (così la chiama il presidente Jordan) possa manifestare la sua crudeltà nel modo più estremo è il tema di fondo di questo thriller politico di robusta struttura e mirabile efficacia. Si svolge nel 1980 (girato sedici anni prima), ma la dimensione temporale più effettiva (e quella che maggiormente interessa) non è epocale, quanto settimanale: l’intera vicenda si districa attraverso sette giorni di un maggio ad alta tensione, nei quali succede di tutto tra complotti e cospirazioni, finti omicidi e sequestri, depistaggi e riunioni segrete.
Il pubblico liberal non può che patteggiare col pacifista presidente (di cui ignoriamo il colore politico, ma si sospetta sia democrat) che cerca di risolvere la questione russa e non può non opporsi alle macchinazioni granitiche del generale: l’epilogo, a favore del primo, vorrebbe anche essere profetico. Così come l’intero film tentò di riflettere sulle conseguenze che si sarebbero potute rivelare in quel clima di guerra fredda. Sulla scia di Va’ e uccidi, Frankenheimer continua sulla sua strada, in cui si coniugano esigenze di spettacolo e considerazioni sociologiche. Notevole apporto di un cast pertinente, in cui spiccano il febbrile presidente di Fredric March e il possente ed inquietante generale di Burt Lancaster, senza dimenticare la sfuggente partecipazione di Ava Gardner e Kirk Douglas, Edmond O’Brien e Martin Balsam assai convincenti. La locandina riecheggia quella di Vincitori e vinti.
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