Regia di Domiziano Cristopharo vedi scheda film
Chi conosce il cinema di Cristopharo sa che dalla sua macchina da presa non escono mai costruzioni banali. Volutamente estraneo ai fracassi horror tanto cari al nostro cinema off meno dotato, il suo è un approccio autoriale ai corpi, un discorso che si fa immagine passando al setaccio della poetica. Red Krokodil approda sui nostri schermi con oltre un anno di ritardo, sintomo di quanto il Belpaese poco creda (e investa) nei prodotti che tentano di giocare al rialzo sul genere. Opera claustrofobica e alienante, poggia interamente su un personaggio filmato nel proprio deteriorarsi a causa della dipendenza da krokodil, surrogato dell’eroina molto in voga in Russia. Capace di putrefare tessuti e organi interni prima di uccidere (di krokodil si muore dopo 2 o 3 anni dalla prima assunzione), questa sostanza spinge il protagonista a un’involuzione progressiva, un ripiegamento in due tempi tra stati di allucinazione e dolore. Tra invenzioni visive fantasiose (la creatura onirica a tre teste) e citazioni mai fini a loro stesse (dai millepiedi di Burroughs alle pareti che respirano come gli schermi di Videodrome, passando per le braccia che escono dai muri di Repulsion) Cristopharo compone il diario clinico di una deriva, filmata senza velo alcuno nelle sue diramazioni visionarie, nei suoi stadi di decomposizione, nella sofferenza come nel sollievo. Una voce interiore onnipresente, l’immediatezza di simbologie evitabili e le derivazioni cristologiche finali non riescono ad abbattere il valore di un film ambizioso ma mai autocompiaciuto.
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