Regia di Matthew Warchus vedi scheda film
Quando le lotte più dure e difficili si vincono soprattutto grazie alla solidarietà gentile e affettuosa di uomini e donne capaci di superare i pregiudizi in nome della comune umanità.
Ambientata nel Regno Unito ai tempi della “Lady di ferro”, la storia che il film ci racconta è la veridica ricostruzione dell’alleanza anti-tatcheriana che si determinò quando i minatori gallesi, allo stremo per uno sciopero a oltranza contro il piano governativo che avrebbe voluto privatizzare le miniere carbonifere, trovarono sulla loro strada l’ insperata, e per alcuni aspetti imbarazzante, solidarietà dei gay, che volevano, a loro volta, uscire dal ghetto a cui parevano inesorabilmente condannati dopo l’ultimo Gay Pride.
La società all’epoca era ancora, infatti, nel suo complesso assai chiusa e bacchettona (non solo in quell’angolo di mondo), né il sindacato, né il Labour Party, sua emanazione politica, erano interessati a occuparsi della liceità degli orientamenti sessuali, poiché il pregiudizio era diffuso ovunque, soprattutto negli ambienti prevalentemente maschili.
I minatori, dunque, sentivano l’estrema urgenza di un sostegno solidale anche economico per riuscire a portare ancora avanti la lotta, ma erano anche molto diffidenti nei confronti dei gay, perché era difficile rimuovere il pregiudizio circa le temibili insidie che sarebbero venute... alla loro virilità, oltre che alla loro salute, soprattutto ora, che si andava diffondendo l’AIDS.
I gay, d’altra parte, desideravano essere accettati in famiglia e nella società, affinché non fosse più considerata un’infamia quella diversità, esibita con fierezza orgogliosa nei Gay Pride, soprattutto ora che i reazionari di ogni risma si sentivano incoraggiati alle persecuzioni dal clima politico inaugurato dalla Thatcher, sempre interessata a creare divisioni nel tessuto sociale.
Per iniziativa di uno di loro, il giovane Mark, nacque il gruppo degli LGSM (Lesbians and Gays Support the Miners), che, senza nascondersi, iniziò per le vie di Londra la sottoscrizione a favore dei minatori, ultimata la quale, iniziarono i difficili contatti.
L’incontro fu la premessa di un’alleanza che in breve tempo tempo divenne molto salda, grazie anche all’amicizia che presto fece piazza pulita di ogni riserva pregiudiziale, ma grazie, soprattutto, al ruolo decisivo delle donne, le mogli, le madri, le sorelle di quei minatori che presto si offrirono, generosamente disponibili, all’ascolto e all’accoglienza, nel ricordo, forse, delle rivendicazioni di un tempo, quando le loro antenate nel 1912 avevano lottato per il “pane”, ma anche per le “rose”, perché mai più in futuro si dimenticasse che l’uomo ha bisogno di cibo, ma anche di bellezza e di amore.
Il regista ci racconta tutto questo con ironia e commossa leggerezza, senza minimizzare i conflitti, ma facendoci rivivere una bella pagina di solidarietà e di speranza (come mi erano sembrati indicare gli applausi che avevano accompagnato, a Torino, il finale del film), quando, durante il Gay Pride del 1985, tutti quanti, gay, minatori e donne, avevano intonato la bellissima e antica canzone Bread and Roses.
Il pensiero, certo, era andato al bellissimo film di Ken Loach, ma a me, per il modo del racconto era tornato in mente anche il più recente We Wont Sex, nonché, per lo spirito anti-thatcheriano, Full Monty.
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