Regia di Matthew Warchus vedi scheda film
'Pride', diretto con qualche esitazione da Matthew Warchus, narra del sodalizio, all'inizio difficoltoso, ma poi sfociato in un sostanziale 'abbraccio' collettivo nella manifestazione finale, avvenuta nel 1984 tra il movimento LGSM (Lesbian and Gay Support the Miners) ed appunto i minatori vessati dal governo dell'allora Premier in gonnella Margareth 'fucking' Thatcher, come viene apostrofata in un momento del film, statista che guidò il paese dal 1979 al 1990, con provvedimenti molto controversi, che divisero parecchio l'opinione pubblica tanto in inghilterra quando negli addetti ai lavori in ogni parte del Mondo.
L'autore fatica non poco ad intessere l'elaborato mosaico di personaggi e tematiche affrontate: si va dai diritti e l'emancipazione degli omosessuali, passando tra le spinte libertarie, bilanciate dagli attacchi omofobi, fino ai primi casi di sieropositività, ai diritti dei lavoratori del settore industriale primario, rappresentati dai minatori, in particolare nel Galles del Sud (molto interessante sentire le diverse inflessioni della stessa lingua), fino ad un tentativo di dare uno sguardo d'insieme della società britannica di fronte a tutti questi fatti, società la quale è parsa a dir poco colta di sorpresa.
Warchus opta per un registro leggero - il film si può definire una commedia drammatica o dramedy come si usa dire oggi - tentando la carta del film à la Ken Loach privo però delle sue proverbiali rabbia e spigliatezza narrativa, toccando tutti i temi elencati ma non riuscendo a delinearli bene e collegarli tra loro per un quadro omogeneo della situazione. Piuttosto impacciata ritengo la parte con gli accenni alla sieropositività, tema questo molto ben sviluppato ad esempio in tanto cinema americano a partire dagli anni '90 - 'Che mi dici di Willy?' fino al recente 'Dallas Buyers Club', film di tutt'altro spessore - qui trattata con una toccata e fuga e poi ripresa con le didascalie nel finale e schematica la contrapposizione tra minatori diciamo così, se mi si passa il termine, 'progressisti', che accolgono con simpatia e affetto i membri del LGSM, e gli altri, 'conservatori', che li vedono come il fumo negli occhi.
Come invece capita in gran parte del cinema british, di alto livello il cast, che fa della coralità il suo punto di forza, con ottime interpretazioni sia tra i volti più conosciuti, con i veterani Bill Nighy e Imelda Staunton sugli scudi, sia tra quelli meno noti, dove vale la pena ricordare Ben Schnetzer (Mark Ashton, leader del movimento morto di AIDS), George Mckay (Joe), Faye Marsay (Steph) e Jessica Gunning (Sian James, donna gallese poi diventata membro del Parlamento).
Notevole la colonna sonora, con tanti classici dell'epoca in cui è ambientato il film, e, a naso, 'temibile' la versione doppiata, dove si ha la sensazione che gran parte delle inflessioni linguistiche vadano perdute.
Voto: 6 (v.o.s.).
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