Regia di Matthew Warchus vedi scheda film
Due ore in piena era Thatcher, durante la storica battaglia dei minatori inglesi del 1984. Che trovarono un’impensabile sponda nel movimento gay, impegnato a raccogliere fondi per gli scioperanti del Galles, tra ovvie diffidenze, pregiudizi e machismi prima, e sorprendente calore umano poi, conquistato sul campo, tra balli, bevute e strette di mano socialiste. Una storia vera passata alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2014, un film civile, ma soprattutto una classica e affilata commedia sociale inglese, diretta e manichea, però anche indubbiamente coinvolgente. Funziona davvero tutto: dalle facce dei protagonisti e dei comprimari, al ritmo della storia, con rapide pennellate sui personaggi. E tutto è molto giusto, ben fatto, ottimamente interpretato e sanamente progressista. Tanto che alla fine conta poco che sia un’opera di pura sensibilizzazione, al crocevia tra il Ken Loach più soft e Full Monty, perché Pride è complesso e dialettico come un talk show di Bruno Vespa, ma anche efficace come una pinta di birra, per proseguire nella metafora facile. Eppure, il pensiero che si potesse osare di più e fare qualcosa di diverso dal film sulla memoria, sulle battaglie che contano e sull’elogio dello spirito di iniziativa di una serie di giovani sognatori alle prese con la loro iniziazione o con l’incubo nascente dell’AIDS, non ti abbandona mai. E ti lascia lì, nel guado.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta