Regia di Sebastiano Riso vedi scheda film
Le creature della notte non sono tutte uguali. Non tutte sono nate sulla strada, e non tutte vi moriranno. Tutte no, ma molte sì, purtroppo, faranno presto quella fine. E poi ci sono quelle per cui quello è ancora un mondo da esplorare, di cui bisogna conoscere i personaggi, le regole, le insidie. Per Davide l’essere diverso comincia come un gioco proibito. Un segreto rock da nascondere in soffitta. Lo sbuffo colorato di un sogno musicale, visionario come i costumi di scena di David Bowie, romanticamente irriverente come una canzone di Rettore. Davide guarda oltre la luce fioca della normalità, quella che sua madre sta perdendo: i suoi occhi sono sempre più deboli, e la sua cecità cresce di pari passi con la disperazione per quel figlio amatissimo e fragile che le sfugge oggi giorno di più. Davide crede che l’unica soluzione sia quello di scappare. Di unirsi ai branchi di anime vagabonde che popolano la città dopo il tramonto, per passione o per necessità, con gusto o con rabbia. Vestite alla moda o coperte di stracci. Esseri privi di radici, con cui imparare a rifondare la propria identità, lontano dalle preghiere della nonna bigotta e dalle violente ire di un padre all’antica. Davide si smarrisce in un microcosmo che sembra una giungla, ma in effetti lo accoglie col calore di un nido: una congrega oltremodo sgangherata, però unita dalla solidarietà, dalla convinzione di essere nel giusto, dal coraggio di opporsi ai pregiudizi con l’orgoglio di chi non nasconde le proprie stravaganze. Gente che ama e rischia in prima persona; che ha compiuto la sua scelta e ne subisce le conseguenze. Schiavi di un sistema, dei suoi vizi, della sua avidità, della sua mortale ipocrisia, ma liberi di restare aldilà dei suoi confini, di non partecipare alle sue contraddizioni. I quartieri popolari di Catania sono il vivaio di questa umanità rifiutata ma indomabile, in cui Davide trova una casa scomoda ma sincera, pericolosa ma immune da ambiguità. In quel sudicio sottobosco le situazioni sono fin troppo chiare, non ci sono sorprese, solo nuove sfide, nuovi passi da compiere per diventarne parte integrante, simile tra simili, omosessuale tra omosessuali, con le stesse esperienze, lo stessa assenza di vergogna e di paura. È solo lì, in mezzo alle prostitute e ai ragazzi di vita, che Davide incontra una famiglia che lo educa con l’esempio anziché con le prediche e i divieti. Offre modelli da imitare, che quegli adulti fuori dagli schemi incarnano fino in fondo, con coerenza e a dispetto delle difficoltà. La trasgressione, per loro, non è un occasionale diversivo, è un modo di essere che cavalca la marginalità come un allegro segno di distinzione. Il dolore, sempre in agguato, non ne intacca la gioia genuina. Triste è, semmai, dover tornare indietro, nel luogo da dove si proviene, e dove si è incompresi e disprezzati. Questo è il crudele fascino della mezzanotte più nera, in cui non entrano i raggi del giorno a indicare la retta via, a distogliere dalla follia di vivere contro, di essere vittime e non serbare rancore, di essere sfruttati e non amareggiarsene. Ma per Davide è duro spegnere anche quell’ultimo, tenue bagliore che lo mantiene attaccato alle sue origini, ad un focolare domestico, dove un uomo urla e alza le mani, e una donna che cammina inciampando lo aspetta per baciargli le ferite. Quella sottile striscia di crepuscolo è il margine del dubbio, l’orlo residuo della speranza che l’abisso non sia l’unico possibile destino. Il racconto si chiude sullo strazio di questa illusione agonizzante, costretta a fare a pugni con la solita realtà che non ne vuole sapere di cambiare idea. Intanto, sullo sfondo della sua inveterata ottusità, persino l’orrore sa farsi bellezza.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta