Regia di Woody Allen vedi scheda film
Woody Allen torna a girare in Europa, in un’assolata riviera francese che funge da incantevole sfondo a una commedia romantica d’epoca, con sottotesti legati a dei contrasti preminenti che con il cinema sono andati spesso a nozze.
Una prova godibile ma anche dal carattere fondamentalmente innocuo.
Stanley Crawford (Colin Firth) - in arte Wei Ling Soo, un mago di successo – è chiamato dal vecchio collega Howard (Simon McBurney) a smascherare la sensitiva Sophie Baker (Emma Stone) che sembra aver raggirato la ricca famiglia Catledge al punto che il rampollo Brice (Hamish Linklater) la vuole sposare.
Con sua somma sorpresa, sembra che non ci siano ne trucco ne inganno e finisce per essere irretito dalla giovane ragazza.
Scandito da tratti distintivi come dialoghi poggiati sul dubbio, imbrogli ed equivoci, e una fotografia a dir poco suadente - tra interni intimi ed esterni semplicemente meravigliosi - firmata da Darius Khondji (Delicatessen, Seven), Magic in the moonlight propone un’infornata di singolar tenzoni tra dicotomie accentuate; concezione razionale contro l’insondabilità della spiritualità, ragione in antitesi alle vibrazioni mentali, ma anche il cuore che cozza con la mente e lo scontro tra ciò che è vero e ciò che è falso.
Un condimento speziato per accompagnare il raggiro e il sentimento, l’amore, più datati del mondo, a conferma della regola secondo la quale quando desideriamo troppo una cosa è il momento stesso in cui allentiamo le autodifese naturali in nostro possesso divenendo disposti a credere a qualunque cosa.
Detto questo, lo svolgimento ha comunque vita breve, la seconda metà diventa più fumosa, per un approccio generale volutamente diretto e la forma accecante - magnifica la Costa Azzurra con dettagli d’antan - è in linea con l’assunto del trucco e della magia.
Note felici arrivano dal cast; Colin Firth funziona come raramente gli è capitato negli ultimi anni, logorrea esibita, con tanto di soliloquio, efficace misantropo tentennante, mentre Emma Stone dona vivacità in accordo con le luci calde; è invece un peccato, il sottoutilizzo di due attrici del calibro di Jacki Weaver e Marcia Gay Harden, almeno la prima ha rari momenti di gloria, mentre la seconda non può offrire altro che la presenza.
Alla fine, Magic in the moonlight rientra appieno tra i film di Woody Allen dell’ultimo decennio; gradevole e formalmente elegante, conciliante con lo spirito ma anche un po’ pigro e sempre mancante dell’ultima idea geniale che possa permettergli di distinguersi marcatamente.
Scorrevole come bere un bicchier d’acqua, rigorosamente liscia; disseta, ma non lascia evidenti segni del suo passaggio.
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