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Magic in the Moonlight

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Magic in the Moonlight

di ethan
4 stelle

Siamo negli anni '20 a Berlino e a Stanley, un famoso illusionista inglese (Colin Firth) che lì si sta esibendo, viene richiesto di smascherare una giovane medium, Sophie (Emma Stone) sospettata di ingannare dei facoltosi personaggi residenti in Costa Azzurra. L'azione si sposta quindi in Francia, dove assisteremo a un gioco a rimpiattino tra la sedicente spiritista e il sospettoso mago.

La trama, coi suoi abbastanza prevedibili sviluppi, dell'ultimo film di Woody Allen, che firma come al solito anche la sceneggiatura, è tutta qui: 'Magic in the Moonlight' è una stanca e scialba ripetizione di tematiche già trattate dal filmmaker newyorchese in tanti suoi precedenti lavori - non è questo il male - che non aggiunge nulla che già sapevamo dell'Allen pensiero.

I temi stavolta vertono sul binomio realtà-illusione, razionale ed irrazionale, determinismo e conforto della religione, vita e morte e di conseguenza la possibilità di una vita dopo la morte, che sono al centro degli spesso logorroici dialoghi tra i vari interpreti che si succedono davanti alla macchina da presa, usata in maniera quasi dimessa da Allen, in modo da non intralciare il lavoro con gli attori, che a lui interessa di più.

Il problema grosso di 'Magic in the Moonlight' è che, come già accennato, è pieno di cose già sentite e riproposte all'infinito che, per chi ha visto l'intera filmografia dell'autore, paiono dare l'idea di un autore quasi 'prigioniero' di se stesso e delle sue paure che, ai tempi, esorcizzava declinandole in maniera scherzosa, basti pensare al finale di 'Amore e guerra' dove, citando l'amato Bergman de 'Il settimo sigillo', costruiva un memorabile balletto tra lui e la Morte, ma ora non sa più come rigirare, servendo quasi sempre la stessa pietanza insipida, come del resto lo sono i dialoghi, artificiosi e con nemmeno una battuta da ricordare.

Per quanto riguarda il lavoro con gli attori, se da un lato brillano i comprimari, come ad esempio l'ingenua vedova interpreta da Jackie Weaver, l'attempata zia dell'illusionista (Eileen Atkins) e la protettiva madre della sensitiva (Marcia Gay Harden), dall'altro sono proprio i due protagonisti, pur bravi, a non riuscire a creare una buona alchimia recitativa tra loro: forse un po' prigionieri dei loro ruoli, paiono distanti come i loro personaggi ad inizio film.

La scena in cui, a causa della pioggia, riparano in un planetario - palese citazione-omaggio di 'Manhattan' con lo stesso Woody e Diane Keaton - poteva essere una cosa memorabile ma è più un rimpianto per l'Allen del tempo che fu.

Resta l'accurato lavoro scenografico, i bei costumi (tranne quelli indossati da Emma Stone che, abbinati alla pettinatura, riescono nell'impresa di farla apparire molto meno bella di quello che è) e la davvero ottima, ricercata fotografia di Darius Khondji, dai colori intensi nelle scene d'interni e pastello in quelli nelle location ma è un po' poco per un cineasta che pare aver smarrito quel tocco 'magico' di un tempo.

Voto: 5,5.

 

 

 

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