Regia di Woody Allen vedi scheda film
Magic in the Moonlight è un film sull’inganno: su quello pratico, ovvero le frodi ben allestite dai sedicenti medium che il protagonista smaschera con svogliato cinismo, e su quello leopardiano, l’illusione per eccellenza che è l’amore. Ingannevole fin dal titolo: la magia non c’è, al massimo va in scena il raffinato gioco di prestigio dell’illusionista Colin Firth; il chiaro di luna si scorge solo dalla cupola meccanica di un planetario sulla Costa Azzurra. Stanley, ennesimo performer dell’infinita galleria alleniana, ennesimo showman deformato dall’abitudine alla messa in scena, dovrebbe strappare il cielo di carta della vezzosa sensitiva Sophie, finisce invece invischiato nelle stelle filanti e si converte alla più oppiacea delle religioni, quella della felicità. Allestisce perfino una conferenza stampa per declamare, lui, ateo e misantropo impenitente, che l’amore, la gioia di vivere e, forse, perfino Dio esistono. L’inganno estremo, ovviamente, senza il quale però non potremmo stare: Allen ripassa con l’inchiostro della commedia romantica la lezione già scritta 43 volte, quel tragico bisogno (di magia posticcia, di illusioni, di uova) che ci spinge al compromesso perché basta, sempre, che funzioni. Stavolta, però, fallisce perfino dove di solito vince: nella direzione degli attori (Firth non piega la sua britannica flemma, Stone si irrigidisce reverenziale), nel ritmo latitante delle arguzie sentenziate.
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