Regia di Robert Wise vedi scheda film
Il titolare di una grossa azienda che costruisce mobili muore di colpo e inizia così la 'guerra' per la sua successione, che si concluderà nella stanza dell'amministrazione ('Executive Suite') del titolo originale, dopo una resa dei conti tra i cinque che erano stati nominati vice presidenti.
'La sete del potere' ha un incipit stupendo, con titoli di testa formati da varie inquadrature di grattacieli dove si annida il potere, in cui dei rintocchi di campana scandiscono uno per uno, gli attori che saranno i protagonisti della vicenda, seguiti da una soggettiva del signor Bullard (Raoul Freeman) che, dopo aver organizzato la sua partenza, collassa su un marciapiede. Tutta la parte successiva, fino al suddetto redde rationem, invece soffre di una certa verbosità, si presume causata dall'origine romanzesca, dalla quale, il pur bravo Robert Wise a volte non riesce ad ovviare ed il ritmo ne risente in più di un'occasione. Ma la svolta avviene con la lunga, magistrale, sequenza nella stanza dei bottoni, dove tutti i nodi vengono al pettine.
Robusto pamphlet sul mondo del lavoro nella società americana degli anni '50, in cui l'obiettivo primario è sempre il profitto, mentre la qualità del prodotto offerto, nonché le conseguenze sui destini dei lavoratori, vengono sempre in secondo piano.
Il film di Robert Wise, dotato di un cast stellare - William Holden, Fredric March, Barbara Stanwick, June Allyson, Dean Jagger, Walter Pidgeon, Louis Calhern, Shelley Winters e Nina Foch (incredibilmente l'unica ad ottenere una candidatura agli Oscar, mentre a Venezia tutto il cast ottenne un premio speciale dalla giuria) - parte alla grande, si arena nelle secche di una narrazione incerta in tutta la parte centrale, ma si riprende alla grande nel serratissimo e lungo finale.
Da riscoprire!
Voto: 7,5.
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