Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film
Favola buonista di una giovane donna in crisi esistenziale che adotta soluzioni impegnative per correggere il suo stile di vita non proprio salutista.
C’è del coraggio nel proporre un film come Wild del regista Jean Marc Vallèe, destinato all’inevitabile confronto con il gemello Into the Wild (2007, Sean Penn) del quale ricalca l’azione e l’iconografia? Potrebbe ridursi ad una versione al femminile in grado di offrire sia elementi di differenza che una lettura che si stacchi di netto dalla sensazione di trovarci davanti ad una semplice copiatura del successo di Penn.
Prodotto anche dalla protagonista, la (ex) fidanzatina d’America Reese Witherspoon, Wild sembra proprio destinato a regalare quella rilevante prova d’attrice in grado di sostenere da sola tutto il film avvalorandone definitivamente le capacità. Eppure il binomio Witherspoon - Vallèe ci prova e a tratti sembra anche funzionare. Cheryl, reduce dalla scomparsa della madre e dal fallimento del suo matrimonio, è una giovane donna con alle spalle problemi di eroina e di sregolatezze varie. Decide di dare una svolta alla sua vita e s’incammina solitaria lungo un sentiero di 1000 miglia da percorrere a piedi per ritrovare il senso dell’esistenza. Non c’è nel film quel rapporto di attrazione e di ambiguità con la natura e la spettacolare grandezza dell’entroterra americano che invece guidava lo spirito romantico del protagonista del film di Penn fino alle estreme conseguenze, Vallèe non rinuncia però a inserire gli stilemi classici del trekking patinato da rivista , c’è il serpente a sonagli da non pestare, la ricerca dell’acqua per allontanare arsura e disidratazione, il fornello da campo che non funzionerà, gli scarponi troppo stretti, le ombre minacciose nell’oscurità, qualche incontro sporadico con esseri umani che si rivelano innocui o del tutto partecipi dell’avventura della giovane. Con il montaggio alternato invece la regia da il meglio di sè , attraverso numerosi flashback si vede qualche spaccato della vita di Cheryl, tra i quali il più convincente resta quello che esamina il rapporto con la madre interpretata da una bamboleggiante Laura Dern che con l’incedere dell’età si dimostra dunque coerente con il suo personaggio tipico.. Come nel precedente lavoro del regista,il fortunato Dallas Buyers club, il regista tende ad un’esagerata empatia con il personaggio principale, snaturandone i caratteri più fragili in favore di un’elevazione inattaccabile che rende la parte del presente riguardante il viaggio completamente priva di ogni interesse. Il tentativo di redenzione morale della protagonista in realtà non esiste, si è già consumato nel momento in cui Cheryl ha deciso di intraprendere un viaggio così faticoso. La sua stessa modalità di rappresentazione è del tutto parziale, Vallèe ci mostra ben poco della vita parallela e precedente di una persona che almeno dal punto di vista della tossicodipendenza avrebbe avuto forse qualche serio problema ad affrontare un’avventura simile. Vallèe si conferma come artefice di un cinema dai valori più tradizionali, in linea con un pubblico inerme e di facile convincimento, retoricamente attaccato ad un perbenismo finto progressista di facciata assai lontano da quello spirito selvaggio che dà il nome al film. L’azione più importante che sarà, non il compiere la camminata ma il raggiungimento di una consapevolezza e della maturità interiore di Cheryl, non avviene nel film, a giudicare solo da esso sembrerebbe più un semplice chiarimento interno derivato da un paio di sedute dallo psicanalista in grado di riportare la sua vita su canali decisamente banali. Affatto contaminata e offesa dall’aspetto più mistico e profondo della natura, Cheryl chiede e ottiene conferme di sè per rientrare nell’ordinarietà (compresa quella cinematograficamente rassicurante di Vallèe) e come succede nel film passando con disinvoltura dal deserto alla neve si specchia nel mondo delle convenzioni più scontate. La struttura del film si rivela piuttosto debole e la mancanza di quell’azione morale associata al movimento dell’immagine sminuisce ulteriormente l’impegno dell’attrice destinata ad apparire come una gradevole figurina. Tanta fatica per nulla, una volta bastava mettere la tenda in giardino per vivere una notte da leoni..
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