Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film
Un motel sconosciuto ai confini del Messico, uno zaino (il "mostro") più grande e più pesante di lei, un sentiero (il Pacific Crest Trail) di quasi 3000 miglia (circa 4300 km) da percorrere fino al Canada.
Cheryl inizia così il suo percorso di auto-conoscenza e (probabilmente) di espiazione. Un percorso che farà emergere tutte le sue paure e ansie, ma le permetterà anche di riflettere su se stessa e le ultime drammatiche vicende della sua vita: dalla morte della madre alla sua dipendenza da sostanze e sesso alla sua separazione dal marito. Accompagnata solo da un paio di libri e da occasionali e temporanei incontri di viaggio...
Non è un film sulle escursioni e sulla natura. Piuttosto una escursione nelle oscurità dei nostri sensi di colpa, che il regista evoca con scenari sempre crepuscolari o piovosi. Cheryl è un personaggio che facilita l'empatia dello spettatore e forse per questo qualcuno ha considerato la sceneggiatura troppo facile (nonostante Nick Hornby).
Io ho comunque apprezzato lo sforzo di rappresentare l'elaborazione mentale del proprio passato usando lo strumento di flash-back parziali e a mosaico, in modo da ricreare le situazioni di vita complete solo unendo le diverse tessere del ricordo. Con un finale in cui si può avere il dubbio che - dopo un'impresa del genere - non sia facile tornare alla vita "normale", ma che invece nei titoli di coda si scioglie in dissolvenza nelle immagini del personaggio reale dalla cui storia è tratto il film (la vera Cheryl Strayed).
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