Regia di Jean-Marc Vallée vedi scheda film
Delusa e insoddisfatta da una vita inconcludente e sregolata e nel tentativo di elaborare il lutto della perdita della madre e della separazione dal marito, la giovane Cheryl Strayed si cimenta senza alcuna preparazione atletica e logistica nel PCT (Pacific Crest Trail), uno dei percorsi escursionistici più impegnativi e difficili degli States che si dispiega lungo tre stati, dal confine meridionale con il Messico a quello settentrionale con il Canada, lungo una dorsale montuosa che segue parallelamente la costa pacifica del continente Nord Americano. Alla fine dei due mesi più straordinari e massacranti della propria vita, Cheryl giungerà alla meta del suo percorso come una persona totalmente cambiata e piena di rinnovate speranze per il futuro.
Da un soggetto autobiografico della protagonista del film ('Wild: From Lost to Found on the Pacific Crest Trail') e dalla sceneggiatura dello scrittore inglese Nick Hornby, Jean-Marc Vallée ('Dallars Buyers Club' - 2013) trae un dramma esistenziale dall'animo avventuroso che sembra incrociare la metafora di una catarsi uomo-natura dell'esordio di Sean Penn ('Into the Wild' - 2007), il survival-drama da biopic esemplare di Danny Boyle ('127 ore' - 2003) e la esegesi di una dimensione spirituale del percorso di autoflagellazione di Emilio Estevez ('Il cammino per Santiago' - 2012), riuscendo tuttavia a mantenere una propria identità cinematografica soprattutto nella capacità di alternare il prima e il dopo (durante?) di una protagonista nella continua ed ostinata lotta contro una se stessa che non vuole e non può più permettersi di riconoscere.
Giocando su di uno scarto cronologico e scenografico che sembra far coesistere nei magheggi del montaggio (dello stesso autore sotto lo pseudonimo di John Mac McMurphy) le fasi contraddittorie di un percorso esistenziale che dalla claustrofobica insofferenza per la vita di provincia (l'infanzia segnata dalla violenza paterna, l'adolescenza piena di speranze disattese, una maturità di incomprensioni familiari e coniugali, la lenta discesa nel tunnel delle dipendenze) si trasferisce negli sconfinati orizzonti di una natura selvaggia ed ostile che reclamano il drastico cambio di prospettiva necessario alla sopravvivenza fisica e psichica. Fin qui tutto bene e tutto risaputo diremmo, compresi gli incidenti di percorso di una rinnovata (s)fiducia verso il genere umano (gli ha detto bene al contrario della nostra compianta Pippa Bacca) ed i sensi di colpa da superare a colpi di flashback e voice over, se non fosse che gli elementi narrativi e le dinamiche dell'azione sembrano eccessivamente compressi nelle maglie del cut-off, rischiando di banalizzare tanto le motivazioni profonde di questo disagio esistenziale a tratti poco comprensibile (il linguaggio visivo è un talento che non tutti possiedono) quanto il drastico espediente di un'autoflagellazione 'on the road' che le vorrebbe esorcizzare (ma lei è golosa e ci ricasca col primo rockettaro che incontra).
Restano, è vero, le emozioni di un drammone strappalacrime che il volto meraviglioso della superlativa Laura Dern rende credibile e umanissimo ed i rari momenti di felici intuizioni cinematografiche dal sapore favolistico (lo sguardo esopico e compassionevole di una volpe delle nevi e l'ugola d'oro di un angioletto riccioluto che sembrano aver capito chi sei) che la bellissima colonna sonora sottolinea a dovere. Tra azione (poca) e riflessione (troppa) è un film che sfida coraggiosamente i suoi abbondanti 115' meglio di come la protagonista affronti i suoi due mesi di peripezie tra le montagne dell'Oregon, riuscendo a condurre lo spettatore al di là di un 'Ponte degli Dei' che, si sà, guardano sempre con indulgenza ed il necessario distacco le sventure e le disavventure degli esseri mortali. Bravina la Witherspoon con quella faccia tosta e un pò così della brava ragazza che non deve chiedere mai.
Nomination ai premi oscar 2015 per le due attrici principali.
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