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La santa

Regia di Cosimo Alemà vedi scheda film

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La recensione su La santa

di maghella
10 stelle

Un giallo all'italiana, di quelli come erano anni che non ne vedevo più: bellissimo.
 
Quattro balordi arrivano in un paesino del Salento per rubare la preziosa statua di Santa Vittoria, santa protettrice dei contadini.
Durante la processione in piazza si mettono a parlare del colpo e una ragazza del paese riesce a capire le loro intenzioni.
 
Dopo aver informato con una telefona un misterioso complice, la ragazza abborda uno dei quattro balordi, Gianni, in un bar, riuscendo a passarci la notte insieme.
 
La mattina seguente, i quattro mettono in atto il furto, rubano senza troppi problemi (proprio come avevano progettato) la statua e scappano velocemente per le strade del paesino a bordo della loro macchina.
 
Il paesino improvvisamente si trasforma in un fortino inespugnabile e comincia la “caccia all'uomo”.
 
Ho capito che il film era fatto per me dalle prime battute, quando i quattro chiacchierano nella piazza del paese, sicuri di loro, del colpo che vogliono mettere a segno, passano le ore della processione parlando di film classici dell'horror: “Zombi” di Romero e “Non aprite quella porta” di Hooper.
Quasi un segno premonitore parlare di due classici horror americani, in cui i bifolchi di campagna diventano terribili carnefici, in cui zombi frequentano i posti in cui hanno vissuto da vivi.
 
Dante, il capo e il più saggio della banda improvvisata di ladri, pensa di aver concepito il colpo del secolo: “anche le cose più semplici vengono pensate per la prima volta da qualcuno” spiegherà al fratello Diego, quando gli chiede “come mai se è tanto semplice rubare la statua nessuno lo ha ancora mai fatto?”. Dante non sa che la statua non ha allarmi a proteggerla perché è il paese tutto a proteggere la statua.
 
La parte più entusiasmante del film è sicuramente quella del furto e della fuga dei banditi.
E' vero: rubare la santa è semplicissimo, roba da ragazzi, peccato che fuori c'è tutto il paese a impedire la fuga della banda, un paese armato di fucili da caccia, di bastoni e sassi, un paese senza scrupoli a uccidere se necessario. I quattro balordi si separano per fuggire meglio, si separano così anche le loro storie per sempre.
 
Uno viene ferito subito, un'altro trova rifugio in una panetteria, il terzo prende in ostaggio una scolaresca di adolescenti, l'ultimo si nasconde in una casa. Ovviamente uno a uno vengono stanati e non ho nessuna intenzione né di dire cosa gli succederà, né tanto meno di svelare il finale che è tra i più crudeli e beffardi che abbia visto ultimamente.
 
Una storia che utilizza al meglio tutta la cultura cinematografica del genere: Bava in primis con “Cani arrabbiati” e Fulci per la crudeltà del racconto, senza nessuna pietà per nessuno. Ma utilizza anche la struttura dei più classici spaghetti-western, con i banditi che diventano vittime e vittime che si trasformano in carnefici. Ma il regista non cita, non scimmiotta autori del passato, tanto per intenderci non è il Tarantino dell'ultima ora, ha uno stile tutto suo, originalissimo e personale (mi permetto di dire così anche se non ho visto altro dei suoi lavori) nell'utilizzare la macchina da presa, nel modo di interpretare le immagini di costruire il pathos.
 
Potrebbe essere catalogato anche come Horror, per la mostruosità di questo apparente paesino del Salento, quasi pagano nell'adorazione della Santa.
 
Uomini, donne e bambini, tutti sono pronti a uccidere per riportare la statua in chiesa, i quattro forestieri sono le vittime sacrificali ad una dea di coccio, una sorta di matriarca che nel momento del bisogno chiama i suoi figli a sé.
 
La bravura del regista (ma davvero bravura, una capacità sottile che riesce a far accapponare la pelle per le emozioni) è quella di saper giostrare i diversi sapori (passatemi il termine, non riesco trovarne uno migliore per rendere l'idea) del paesino caratteristico del meridione, con una cattiveria profonda e radicata che lascia storditi.
Chi vede il film, proprio come i quattro malviventi, rimane shockato dalla discordanza che c'è tra quello che ci si aspetta e quello che realmente si sta vedendo:donne di paese con grembiule e vestaglia da lavoro che non si perdono d'animo nell'uccidere un uomo a sassate nello spiazzo della cava; bambini che portano da bere al cecchino che li rassicura sul colpo che ucciderà l'uomo preso di mira.
 
Il tema portante di “Non aprite quella porta” (rammentato all'inizio del film dai protagonisti) è: fuori gli intrusi, ne “La santa” tutto il paese è una sorta di scrigno mostruoso da non aprire. Una Santa terribile da tenere buona con sacrifici umani, umani mostruosi che non chiedono di meglio di sacrificare altri umani.
 
Ottime le scene di azione, la caccia all'uomo è feroce, ansiogena, da palpitazione.
Ottimi gli attori e la recitazione di tutti, anche delle comparse, anche di chi non dice una parola, sicuramente dietro c'è una preparazione delle scene e della psicologia del paese ad altissimo livello, certe cose non si improvvisano, non si ottengono “per miracolo”. Per tutto il film la tensione non cala mai, anzi si alza fino alla fine con un ottimo finale scontato nell'inevitabilità dei fatti ma che lascia l'amaro in bocca e un senso di fastidio misto ad eccitazione per gli accadimenti delle ultime scene.
 
Ottime le scene di sesso, spesso in certi film risultano un “di più”, qui tutto ha un senso, tutto torna, niente è fatto per piaceria o per il facile consenso da parte del pubblico. I rapporti sessuali sono un pretesto per legare un personaggio all'altro, una necessità carnale quasi preistorica. Se il paese ha una facciata inoffensiva fasulla, con il sesso e la libido i paesani si mostrano per quello che sono: spregiudicati e senza scrupoli.
Anche le scolarette cattoliche prese in ostaggio da uno dei banditi (dal più “cattivo” oltretutto) non hanno paura, anzi si sentono affascinate dalla situazione “pericolosa” che si è venuta a creare.
 
Spietata la critica alla chiesa simbolo di un potere antichissimo, che riesce a mantenere sotto controllo intere generazioni con la paura e la superstizione: proteggere la Santa in cambio di protezione.
 
La colonna sonora sottolinea con successo le scene più avvincenti, una su tutte quella della fuga dei banditi dopo aver rubato la statua: una samba (i Ninos du Brasil sono presenti nella colonna sonora con 5 pezzi uno più bello dell'altro) che fa ritmare il cuore in gola, da anni una scena non mi suscitava tali emozioni.
 
Avevo voglia di vedere un bel film come questo, me ne sono accorta nel momento che lo vedevo. Avevo dato per scontato certe emozioni soltanto rivedendo i vecchi film di Bava (“Cani arrabbiati” rimane per me il capolavoro capostipite di un certo genere), ma oggi con questo “La santa” ho avuto una rivelazione, terrò d'occhio Cosimo Alemà, questo è il cinema italiano che piace a me, che spero di vedere sempre più spesso, che consiglio a tutti.
 
Note personali: ho visto il film casualmente, mi ispirava, “mi ha chiamato” e io ci credo a queste combinazioni. Mentre lo vedevo pregavo che non peggiorasse, che non avesse dato tutto nella prima mezz'ora (e già si sarebbe beccato un 4 pallucce lo stesso), mi sono ritrovata alla fine in piedi, davanti allo schermo, con le mani al petto che dicevo “che spettacolo”, questa opinione mi era necessaria per far uscire tutta questa emozione arrivata così inaspettatamente.

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