Regia di Sidney Lumet vedi scheda film
Storia vera di Frank Serpico, poliziotto newyorkese che denuncia la corruzione diffusa tra i colleghi, viene trasferito da un commissariato all’altro perché nessuno lo vuole tra i piedi, si ritrova sempre più solo, rischia di lasciarci la pelle durante un’irruzione in un covo di spacciatori e alla fine si ritira in Svizzera (ma qualche anno dopo è tornato negli Stati Uniti). Uno di quei film che hanno costruito il mito di Al Pacino, il cui look raffazzonato anticipa quello di Monnezza (impressione accentuata, per il pubblico italiano, dalla voce di Ferruccio Amendola). Come succede con molti prodotti di quegli anni, a rivederlo adesso mi sembra un film in costume per come tratteggia l’immagine di una New York perduta e ormai irrecuperabile nei suoi stili di vita: questo vale soprattutto per la prima parte, gradevolissima nel seguire la formazione del protagonista, nel mostrare la sua insofferenza già per i piccoli compromessi (mangiare gratis a una tavola calda e in cambio chiudere un occhio su ciò che fa il proprietario), la sua famiglia italoamericana, le sue donne e il suo appartamentino al Greenwich Village, il tutto servito da un montaggio abilmente ellittico. La seconda parte, ossia quella più apertamente di denuncia, appare più convenzionale e prolissa nella ripetizione di uno stesso meccanismo.
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