Regia di Valentina Pedicini vedi scheda film
L’occhio si cala lentamente nel pozzo e scopre un set. La miniera è uno, dieci, mille film: sulle rotaie del carbone illuminate ad altezza casco, negli ascensori che disegnano il confine verticale della solitudine, negli specchi delle docce ingiallite dove gli uomini-grillo svestono la maschera da spazzacamino e cantano l’opera lirica. Poesia dalla polvere, ma non solo: Dal profondo è un’incursione nelle possibilità cinematografiche e umane del mondo capovolto, un documentario che è un racconto sentimentale e un’esperienza visiva. La miniera dall’esterno (notte) è il bulbo bianco coltivato al neon, il fiore fantascientifico di un’oasi aliena. La miniera dall’interno (giorni come notti, una telefonata sul cellulare a smascherare il pomeriggio) è uno stagno di petrolio: vibra come un antro percosso dal preludio di tempesta, l’obiettivo l’attraversa con la tensione elettrica del thriller. Ambientato nelle gallerie della Carbosulcis, Sardegna sommersa ma ancora forse salvata (i minatori si oppongono strenuamente alla chiusura della loro terra), Dal profondo è un’immersione nel buio che non fa (canonica) paura. Perché parla di uomini e donne - sì, c’è anche Patrizia, sotto il suolo in amorevole memoria di un padre mai sepolto, protagonista di un dialogo a una voce semplice e tenerissimo - che sul nero hanno costruito un ponte denso di svolte e sfumature. Quando guardano in macchina in un enfatico avvicinamento progressivo, ci viene in mente un noto spot pubblicitario sui guerrieri del quotidiano: il paragone non si pone, questa è vita.
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