Regia di Wes Craven vedi scheda film
Quello de Il Serpente e l'arcobaleno è un Craven insolito, diciamo pure unico, distante di tre passi sia dallo slasher (sottogenere che il regista aveva in larga parte contribuito a fondare con L'ultima casa a sinistra, Le colline hanno gli occhi e soprattutto Nightmare) che dai suoi horror metafilmici e/o parodistici (New Nightmare, Scream). Il suo occhio si fa curioso e personale come mai prima. Il Serpente e l'arcobaleno è, come ovvio, un film politico. Craven, alle prese con il suo film di zombie, sceglie di distaccarsi nettamente dalla romeriana trilogia dei morti viventi, ed il risultato è efficacissimo, fresco:
Ma come parlare di zombie senza scadere in una banale copia del leggendario trittico? Il regista torna indietro, restituisce la figura dello zombie alla sua culla religiosa e mitologica: la zona delle Antille, in particolare Haiti. E li trasforma in schiavi di un potere centrale in maniera forse più facile e meno annichilente rispetto a quanto aveva fatto Romero (nei cui film i padroni non hanno mai volto), ma lasciandogli l'umanità necessaria a renderli consapevoli della propria condizione. Con un effetto drammatico ben diverso, ed altrettanto poderoso. Pur avendo sempre un occhio alla politica, il maggior interesse dell'autore sembra puramente affabulatorio. Creazione di atmosfera, partecipazione ad un complesso rituale fisico ed emotivo, riscoperta di una mitologia. Come se il regista fosse un anziano, lo spettatore un bambino in ascolto. Le fiaccole, le bare, la giungla, i villaggi, gli animali, il rumore. Sul piano estetico il film ha davvero pochi eguali: la scena del funerale e le sequenze oniriche con il giaguaro sono quadri d'autore. Stesso discorso per le (poche) scene horror. Se è vero com'è vero che il finale lascia un po' l'amaro in bocca, è vero anche che non banalizzarlo sarebbe stato impossibile. Nessun film dell'orrore ha coniugato meglio ambizione politica, respiro fiabesco, splendore visivo ed esotismo. Una perla.
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