Regia di Kiarash Asadizadeh vedi scheda film
Film visto in anteprima, da domani nelle migliori sale
Il nuovo cinema iraniano è una realtà.
Basterebbe forse già il solo Fahradi, una specie di One Man Nation, per farci capire che questo cinema deve assolutamente essere preso in considerazione.
L'autore di About Elly, Una Separazione e Il Passato è solo il portabandiera, almeno da noi, di un movimento che sta cercando con sempre maggior insistenza di farsi conoscere anche nel nostro mondo.
Ma del resto il "nostro" mondo ormai è anche il "loro" mondo, con tutte le cose belle o terribili che la cosa può portar con sè.
E così, oltre Fahradi, arriva sempre più materiale, e sempre più apprezzato. Penso a "Il Cerchio", a "Lavagne", a "I Gatti Persiani", a "Offside" o al recentissimo "Melbourne".
Ricorso ancora quando per la prima volta, nel 2001, andai al cinema a vedere un film di quelle latitudini, "Viaggio a Kandahar", forse uno dei pionieri in questo senso.
Tra l'altro, mi pare, proprio con quel film iniziai a scrivere le mie prime recensioni, su carta, ma ovviamente non posso giurarci sopra.
Questo è un cinema, o almeno quello che
arriva da noi, giocoforza impegnato, perchè in quelle terre la necessità di raccontare e denunciare è ancora troppo più forte di quella semplicemente di far cinema, ad esempio, di genere (come ad esempio, e in maniera dirompente, sta avvenendo in India).
Acrid è un film narrativamente perfetto, di una struttura circolare così giottiana che alla fine ne rimani a bocca aperta. E non è solo la sua circolarità ad impressionare, ma anche quel suo continuo passaggio di testimone da un personaggio all'altro, così fluido e ben fatto che nemmeno te ne accorgi.
Si racconta di inferni famigliari, di coppie disastrate (come sempre anche in Fahradi), del ruolo della donna iraniana ma lo si fa sempre, come accennavo, spostandosi continuamente da un nucleo all'altro.
Il personaggio A, quello che noi seguiamo, interagisce con lo B, poi iniziamo a seguire solo lo B che interagirà con lo C, poi seguiremo solo lo C, e così via. Con un finale, beh, meraviglioso.
Io definirei questo film, proprio per questo suo modo di raccontare, come un dramma famigliare ambulante, oppure come un treno della disperazione in cui ogni volta cambiamo vagone.
Il messaggio del regista è evidente, le donne sono sempre sottomesse, umiliate, picchiate, tradite, represse. L'uomo invece, ovviamente, è sempre traditore, padrone, depravato, cinico o semplicemente incapace di prendersi le proprie responsabilità. Tutto funziona, anche se è proprio in questa divisione così manichea che possiamo forse individuare il principale difetto del film. E ve lo dice uno che, di fondo, pensa proprio la stessa cosa (ossia che le donne siano esseri superiori).
Molto curioso come la struttura, l'alternanza, sia sempre la stessa, donna/uomo/donna/uomo/donna/uomo per poi concludere con due donne. Tutte e 5 le protagoniste femminili sono portatrici sane di umanità, valori, speranze e sentimenti, tutti e 3 gli uomini (4 con il marito ubriaco) esattamente il contrario.
C'è una sensazione molto opprimente nella pellicola, una sensazione che porta a questa incapacità per le donne di esser felici, uscirne fuori, avere quello che meritano. Non è forse un caso che il regista non ce le mostri mai, ad esempio, nemmeno per un secondo senza il velo che le copre, come a sottolineare questo ruolo spersonalizzante e castrante che hanno, incapaci, anche solo per un istante, di "liberarsi".
Non è un film che appassiona, ma del resto difficilmente lo sono questi film iraniani, ma un film che ti prende con il racconto, che sa essere verosimile (ancora una volta altissimo il livello attoriale), che sa interessarti, se solo gli dai il tempo però per mostrarsi completamente per quello che è.
Ci sono addirittura due scene (quella in cui il ginecologo deve gestirsi da solo e quella del tamponamento) che sono al confine, per situazione e tempi, con il comico.
Non so se per caso o per scelta c'è anche la sensazione che questo continuo scambio di testimone abbassi gradualmente l'età dei protagonisti, partendo dal dottore per arrivare agli studenti.
E proprio quando tra i giovani sembra finalmente esserci qualcosa di diverso, quando i sentimenti, la serenità e la gioia di vivere sembrano infine venir fuori, e non su una categoria presa a caso, ma appunto tra i giovani, simbolo di speranza, ci sarà invece un dolorosissimo pianto sulla scogliera (lei ha un viso meraviglioso), ci sarà l'ennesima partenza di una donna, ci sarà un ritorno a casa, a piangere tra le braccia di chi credi ti voglia bene.
Il cerchio si chiude.
Come quella porta.
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