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Sorrow and Joy

Regia di Nils Malmros vedi scheda film

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La recensione su Sorrow and Joy

di OGM
8 stelle

Signe, una giovane maestra danese, ha ucciso con una coltellata al collo la figlioletta di pochi mesi. Nonostante il gesto terribile commesso, tutti la difendono, a cominciare dalla sua famiglia, per arrivare fino ai genitori dei bambini della sua classe, che presentano addirittura una petizione al fine di riaverla al più presto a scuola. Il marito Johannes, un noto cineasta, sapeva dei problemi psichici della donna: del resto, fin dal momento in cui si erano conosciuti, aveva notato la sua scarsa intelligenza e le sue tendenze maniaco-depressive. Eppure non aveva esitato a sposarla, benché all’epoca fosse – neanche troppo segretamente -  innamorato di un’attrice minorenne, protagonista di un suo lungometraggio finalista al Festival di Berlino. Questa è la trama. Di un pessimo film, verrebbe da dire. Se non fosse che siamo di fronte ad una storia vera, fedelmente tratta dalla vita del regista Nils Malmros.  Il quale, dopo 26 anni dal tragico evento, è tuttora al fianco di Signe, e decide di spiegarci, senza reticenze, come sono andate le cose. C’è solo una scena che manca, che non si è sentito in grado di girare. Qualcosa di cui non è stato testimone, e a cui preferisce non pensare. Tutto il resto è lì, davanti ai nostri occhi increduli, pieni di sconcerto non tanto per il fatto in sé, quanto per il contesto in cui si svolge, e per le reazioni che suscita.  L’intero ambiente circostante sembra partecipare all’allucinazione che ha scatenato quel tremendo raptus di follia. La piena coscienza della realtà si mescola con un innaturale distacco emotivo, in un approccio insolitamente razionale e sobrio, che si concentra sui dettagli secondari, come per evitare il confronto con il centro inafferrabile di quella atrocità. I pensieri evitano di rivolgersi al passato recente, si aggirano per un po’ nel presente per smarrirsi subito, e prendono quindi a correre verso un futuro che promette il beneficio della guarigione, dell’oblio, del ritorno  alla normalità. È successo solo un maledetto incidente, nessuno ha sbagliato, nessuno è responsabile, e bisogna al più presto lasciarsi questa brutta faccenda dietro le spalle: questa è l’idea alla base degli atteggiamenti di tutte le persone coinvolte. Non ci sono condanne, recriminazioni, scandali, ma soltanto la volontà collettiva di unire le forze per superare un enorme dolore, un colpo del destino che era impossibile evitare. Il trauma impone una strana forma di serenità: si analizzano gli avvenimenti e si conclude che nulla avrebbe potuto cambiarli. Non si avverte nemmeno il bisogno di perdonare, visto che non esistono colpe.  Niente riesce a turbare questa uniforme equanimità con cui la questione viene sospinta via dal piano dei sentimenti umani, per relegarla nella dimensione asettica della patologia mentale, del fenomeno clinico che non ammette giudizi morali, perché va interamente affidato al protocollo medico-giuridico previsto per i casi del genere. Siamo nella Scandinavia dei primi anni ottanta. Nell’Italia dei nostri giorni, come sappiamo per esperienza diretta, simili vicende  ricevono ben altre attenzioni. Ci si può chiedere perché. E in quale dei due estremi opposti, si collochi, esattamente, quella bestialità cerebrale che si chiama cinismo.

 

Jakob Cedergren, Helle Fagralid

Sorrow and Joy (2013): Jakob Cedergren, Helle Fagralid

 

Sorrow and Joy si sottrae a qualsiasi valutazione sulla qualità artistica: è troppo coraggiosamente sincero per essere classificato secondo i canoni della creatività, in termini di originalità espressiva o suggestione estetica. Non ha neanche nulla di importante da rivelarci. Parla esclusivamente per sé, senza alcuna pretesa di enunciare principi generali. E si rivolge a noi con una loquace imperturbabilità che ci impressiona in quanto tale, per la sua natura contraddittoria, per il paradosso psicologico che ci sembra di cogliere tra la voglia di dire e l’indifferenza del tono.  L’effetto può essere irritante, sconvolgente, ripugnante, a seconda delle sensibilità individuali. E ci tiene comunque incollati all’immagine, inusitata e un po’ mostruosa, dell’abisso che sale in superficie e si stende placidamente sul paesaggio, facendosi evidenza.

 

Questo film è stato selezionato per rappresentare la Danimarca agli Academy Awards 2015. 

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