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The Mole Song

Regia di Takashi Miike vedi scheda film

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La recensione su The Mole Song

di pazuzu
8 stelle

Prendete un comune yakuza movie, con gli assetti dei clan in continua evoluzione, con i contrasti tra codice d'onore e brama di potere, con le forze dell'ordine alla finestra e il disordine per le strade, con riti di iniziazione e ammazzamenti, tradizioni e tradimenti. Prendete un comune yakuza movie, e provate a immaginarlo contaminato con ingredienti in apparenza tutt'altro che amalgamabili: in primis, in quantità abbondante, una comicità sopra le righe che oscilla tra grottesco, slapstick e demenziale, poi una spolverata di musical, qualche colpo di arti marziali, una manciata di romanticismo e giusto un pizzico di pinku eiga, il tutto arricchito da in­serti animati capaci di garantire un corposo retrogusto manga. Ed ecco che quello che avrebbe tutti i crismi per rivelarsi un pasticcio dal sapore indefinito, nelle mani capaci di quel geniaccio di Takashi Miike si trasforma in un piatto appetitoso e succulento.
 
Un anno dopo aver partecipato al Festival Internazionale del Film di Roma con Lesson of Evil ed il suo bagno di sangue, il prolifico regista nipponico torna con The Mole Song, riducendo (seppur non drasticamente) il tasso di emoglobina e aumentando a dismisura quello dell'ironia. Per avere un'idea del tenore complessivo della pellicola basterebbe peraltro soffermarsi sul suo primo fotogramma, nel quale si vede un ragazzo, terrorizzato e urlante, legato mani e piedi e adagiato nudo a pancia in su sul cofano di una berlina lanciata a tutta velocità, con solo un foglio di giornale a coprirgli a malapena le parti basse. Il ragazzo in questione è Reiji, è appena stato licenziato dal corpo di polizia con un pretesto e sta affrontando la prima delle innumerevoli prove cui i superiori hanno deciso di sottoporlo per valutarne le doti e l'eventuale idoneità a ricoprire il ruolo pericoloso e segretissimo della talpa. Reiji, in verità, di doti ne ha davvero poche, ma la sua ottusità, la cocciutaggine, la sventatezza ed una dose massiccia di (s)fortuna, lo portano prima ad ottenere l'incarico che mai avrebbe voluto, ovvero quello di infiltrato nella banda Sukiya-kai, e poi a mettere in breve tempo nel mirino il bersaglio grosso, guadagnandosi la fiducia del boss di secondo piano Crazy Papillon e puntando, sulla scorta di questa, a fermare il grande capo Shuno Todoroki ed i suoi loschi traffici.
Che The Mole Song sia un'operazione semiseria è chiaro sin dall'approccio chiassoso del suddetto incipit, così come è evidente che l'intenzione di Miike sia quella di affrontare montagne di cliché e metterle alla berlina: la destrutturazione dei generi, d'altronde, è la cifra distintiva del suo cinema da sempre. Cercare di confinare questo film all'interno di una definizione è dunque impresa inutile e vana: trattasi, come spesso avviene per le sue opere, di caos organizzato, di un miscuglio ardito e perfettamente riuscito nel quale a farla da padrone è l'equilibrio tra le parti. Qui più che altrove, l'autore di Gozu e Ichi the Killer punta sulla leggerezza dei toni, senza accantonare gli elementi che rendono la sua poetica ostica per molti, ma semplicemente ammorbidendoli in un racconto che rinuncia in partenza alla plausibilità per viaggiare sul filo del paradosso, e nel quale la tensione è costruita sulla scorta di gag visive bizzarre e battute fulminanti, subendo un fisiologico calo nella seconda parte per poi tornare a regime in un epilogo pirotecnico ed esilarante.
Sempre diverso eppur sempre fedele a sé stesso, Miike continua a parlare di sesso e di violenza, degli esseri umani e delle loro psicosi, mutando il consueto ghigno beffardo in una risata fragorosa e liberatoria: va da sé che questo giovane agente sotto copertura idealista, imbranato ed ossessionato dalla paura di morire vergine (e quindi prima di esser "diventato uomo"), il boss fissato con le farfalle e legato a valori antichi che lo prende sotto la propria ala protettiva, ed anche il sicario che gira in motocicletta a torso nudo interamente tatuato da leopardo (volto compreso), altro non fanno che aggiungersi alla lunga schiera di personaggi al limite all'interno della filmografia sterminata di un regista che proprio a cavallo di quel limite ha saputo costruire un intero universo; pronti, forse, a tornare in azione uniti nel sequel che il finale aperto sembra suggerire, nei confronti del quale lo stesso Miike s'è detto disponibile, ma la cui fattibilità, come è giusto che sia, dipende dall'evoluzione del manga omonimo di Noboru Takahashi (qui supervisore) di cui questo film è la versione live action.

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