Regia di Michael Almereyda vedi scheda film
VENEZIA 71. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA – ORIZZONTI
A quasi quindici anni da quello che è stato il suo più importante successo di critica e di pubblico, lo statunitense Michael Almereyda avrà ben pensato si potesse ritentare la formula magica acchiappa pubblico e consensi: una sceneggiatura solida (per forza, l'ha scritta quel tal abilissimo bardo affezionato alle carneficine plateali e melodrammatiche, spesso, ma non in questo caso - accidenti - senza lieto fine) trasferita indolentemente ai giorni nostri, che fa figo e ci fa sentire intelligenti a vederla ed apprezzarla, ed un manipolo di star o quasi-divi che è sempre bello e glamour portarsi al guinzaglio ai vari festival (tra gli astri nascenti citerei Dakota Johnson, figlia di Don e di Melanie Griffith, che non mancherà di far parlare di sé molto presto, come forse pure il finora sconosciuto Penn Badgley, qui amanti sfortunati al centro di tutti gli intrighi del caso). Ecco dunque l'amalgama in grado di esaltare i sogni di ogni produttotr, per un ibrido tra blockbuster e film d'autore che accontenta un po' tutti, dai ragazzini ai letterati, incluso tutto ciò che ci sta in mezzo.
Tutti o quasi, perché a me questo calcolo demenziale e pieno di sé, eccitato e sbruffone con tutta quella mistura compiaciuta di antico e moderno, tra cellulari d'ultima generazione e il linguaggio aulico del 1600, risulta fastidioso e pure tedioso già oltrepassato il primo quarto d'ora, quando, scoperte le star coinvolte ed i ruoli che sono stati loro affidati, il giochino dell'intrigo si riduce ad un espediente risaputo e rivisto molte volte, a partire da quell'Hamlet blasfemo ma almeno insolito del 2000 di Almereyda stesso, neanche tanto malvagio (proprio perché capostipite di un genere poi troppo sfruttato sino all'abuso), fino a tutti gli altri prodotti che lo hanno, spesso malamente, emulato.
Questa stolta rivisitazione, la cui storia non sto qui a riferirvi per molte ragioni, pur basandosi su un'opera shakespeariana che non sarei in grado di definire minore, ma certo meno conosciuta di molte altre, risulta una trasposizione ammodernata e sin troppo disinvolta, sfornata decisamente fuori tempo massimo.
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