Regia di Andrea D'Ambrosio vedi scheda film
Un posto non tanto lontano
"La sensualità delle vite disperate", citando un verso di Paolo Conte, è quella che avvolge come in un girotondo metafisico i personaggi di questa storia, raccontata con dolcezza e soprattutto con una scelta di intensa verità che appassiona e coinvolge. L'opera prima di D'Ambrosio è interessante soprattutto per la possibilità di analizzare un argomento delicato, come quello della prigione interiore che blocca, protegge e impedisce di scorgere altri possibili orizzonti a pochi metri da se stessi. Come a dire che gli autobus della memoria sono a un tiro di sasso dalla possibilità di fuga e gli affetti, a volte troppo giudicanti e iperprotettivi, ergono troppo spesso, limiti che da un nostro punto di vista, appaiono invalicabili.
Al di là di alcune ingenuità dovute al testo e alla scelta degli sceneggiatori di muoversi verso un finale che vorrebbe dare uno strappo al senso di questa fuga impossibile, dove ogni strada che porterebbe verso la scelta giusta, sembra inesorabilmente chiusa, il film è interessante perché descrive esattamente ciò che è insito nell'essere umano: bellezza e meschinità si fondono insieme, la menzogna e il coraggio di lasciarsi amare, la semplicità e il contorto suono del tempo battuto dalle macchine da cucire, in una bottega infame, sono splendidi esempi di opposti che generano un conflitto pronto a infiammarsi. È questa sensazione perennemente in bilico, tra ciò che è sospeso e invisibile allo sguardo e il desiderio profondo di una vita normale, si danno il cambio e si passano il testimone come in un incantesimo che non si spezza, neanche quando, il filo intricato della matassa (ottima la metafora di questi tessuti in eterna fabbricazione), sembra ormai sciolto.
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