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Thuy

Regia di Jae-han Kim vedi scheda film

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La recensione su Thuy

di ROTOTOM
7 stelle

Ninh Duong Lan Ngoc

Thuy (2013): Ninh Duong Lan Ngoc

 

Thuy è una ragazza vietnamita sposata con un coreano. Entrambi vivono con i genitori di lui in un luogo rurale della Corea. Quando il marito viene trovato morto a causa di un incidente in moto, Thuy si insospettisce perché egli non era in grado, a causa di una ferita alla mano che lo aveva reso invalido , di guidare una moto. L’indagine della donna si scontra con l’ostracismo degli abitanti del villaggio che non vedono di buon occhio gli stranieri e della polizia che cerca di mantenere una parvenza d’ordine. Solo un ufficiale della polizia di Seoul si offre di aiutarla entrando in conflitto con la polizia locale.

 

Ottimo esordio alla regiadiKim Jae–han, regista che viene dal Gyeongsang, provincia posta al sud del territorio coreano. E in provincia si svolge questo thriller con ampi risvolti drammatici che con il pretesto del mistero della morte del marito della protagonista, apre squarci sulla realtà della società coreana chiusa in se stessa e timorosa di un colonialismo etnico sradicante le tradizioni indigene. La realtà delle spose provenienti dal Vietnam in questo caso, o da paesi limitrofi, è un’esigenza dettata da due disperazioni opposte speculari: la miseria che muove all’emigrazione nell’avanzata Corea del Sud di ragazze disposte a sposare sconosciuti per avere la cittadinanza, dall’altra la conseguenza dell’isolamento delle provincie rinchiuse in un modello autarchico che non si rigenera e tende spasmodicamente alla fine.

Kim Jae-han si affranca dallo stile dei maestri del thriller coreano contemporaneo che hanno tanto successo in occidente,  come Kim Jee-woon, Bong Joon- ho o Park Chan-wook, portatori di una stilizzazione della violenza esibita e paradossale. In questo caso la messa in scena è scarna ed essenziale, intimamente focalizzata sull’esile figura di Thuy, straniera in terra straniera, che si muove con passi malfermi tra indifferenza e ostilità per scoprire la vera sorte del marito. La fotografia grigiastra incenerisce un paesaggio sub-urbano al limite della fatiscenza, macerie di un sogno di progresso che ha lasciato indietro i più deboli per convenienza.

Nella pacifica cittadina rurale  teatro della vicenda si annida una tensione strisciante di violenza. Violenza sociale, famigliare, istituzionale. La normalità di questa condizione sociale è ben connotata dalla pulizia formale della messa in scena, prosciugata di qualsiasi ridondanza.  Nello scarto tra la realtà narrativa e la sua rappresentazione è nascosta la risoluzione del mistero che muove Thuy , una zona grigia pericolosa che prelude ad una tragedia che sa di inevitabile.  In realtà la risoluzione del mistero non è poi così importante quanto le ragioni che ne hanno mosso l’indagine. Non è importante l’individuo nella Corea contemporanea. Il finale nichilista sospeso in un dramma personale è quello che interessa al regista che si distacca sempre di più dai primi piani, si allontana dalla storia dopo averla imbastita per finire in campi lunghi dove i personaggi sono irriconoscibili nelle fattezze e nelle conseguenze delle loro azioni. Il film offre uno spaccato inedito della società coreana, in cui il dramma è condizione di vita comune. Quello di Thuy ne è solo un esempio.

 

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