Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
Un filmetto abbastanza divertente e istruttivo, mai pesante e decisamente godibile. Sembra un film tv, ma rispetto ai prodotti per la televisione, questo vanta due differenze: tutti recitano dalla sufficienza in su, compresi i tanti comprimari; è un prodotto vero, che non dice balle. Tutto lo schifo che ci può essere e che c’è, in merito a ciò di cui tratta, lo dice. Se i figli sono tristi e sconclusionati, e pure maleducati, è soprattutto (non solo) per colpa di genitori incapaci di essere tali. Questa è amara realtà, il film lo mostra, non è sociologia da rotocalco femminile, non è roba da De Filippi.
Verdone invecchiato, serio mi piace, come mi piaceva quello giovane, meno impegnato: fa il responsabile senza essere pesante; è credibile perché i suoi personaggi fanno sempre l’autocritica realistica.
Metto sette per via dello stupendo finale, con i due ventriloqui che simulano amplessi solo per ingelosire chi sta oltre il muro. Il film mostra l’amore che permette di evitare la solitudine, e crea alleanza e senso e un minimo di gioia di cui non si può fare a meno, se si può. Un elemento di modernità, tipicamente verdoniano, è che non c’è giudizio moralistico: tutti i personaggi sono censurabilissimi a loro modo, ma alla fine vanno in cerca di una felicità seria, e vi si approssimano, tutti in forza dei loro fallimenti, paradossalmente, da cui malvolentieri han dovuto imparare qualcosa.
Unica nota stonata: la doppia personalità di Cortellesi. Lei è credibile quando fa la buona, ma non è credibile quanto taglia le teste. Ma almeno si mostra l’orrore del capitalismo, qui nei tagliatori di teste. Non si può criticare il neodisoccupato che dà uno schiaffo a chi è pagato per dargli una versione apparentemente non così orrida di un licenziamento che non c’entra nulla con meriti e demeriti. La lunghissima crisi economica, voluta da banchieri e grandi imprenditori, non viene nascosta, quella che distrugge sempre di più anche oggi, dopo quasi dieci anni.
Si ride spesso, si ragiona su cose importanti, e lo si fa con una finezza e un’onestà intellettuale che vanno lodati di Verdone; queste non vengono compromesse dalle necessarie pause ridanciane, ovviamente più popolareggianti.
Il regista continua a suggerire una speranza non ingenua, impastata d’affetto.
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