Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
Sotto la buon(issim)a stella della grande bellezza roman(esc)a (eloquenti le ciance illustrative di antichi splendori, il facile canzonar di certa vacua arte moderna, l'immancabile toccat(in)a e fuga retorica sul decadimento generale), Carlo Verdone ci sciorina l'ennesimo bignamino comico/riflessivo della sua lunga carriera.
Ancora famiglie disfunzionali, con padri assenti improvvisamente catapultati nell'universo alieno di figli così distanti; ed ancora scontri generazionali, elaborazioni del lutto, dissertazioni - invero frivole - sulle problematiche del mondo del lavoro e di quello dei gggiovani, girandole sentimentali, giochi/schemini degli equivoci, elementari burle su generalità "divertenti", ed il consueto (b)analizzar aspetti importanti affogandoli nella mesta minestrina (ultra)riscaldata del sollazzo semplice semplice o del lieto dolce risolversi ogni cosa (anche quando la superficie - ma solo quella - è amara).
Il tutto, ovviamente, in una dimensione paratelevisiva (nonché paracula), con linguaggio e personaggi da fiction, e situazioni ammorbidite in un'ottica cerchiobottista, consolatoria, oltremodo rassicurante. E così, se Verdone è un ex broker (uno tra i mestieri simbolo del capitalismo cannibale) disoccupato in seguito agli sporchi affari del socio bastardo (che ha fregato pure lui!), pur essendone completamente estraneo, la di lui nuova vicina di casa Cortellesi è una tagliatrice di teste (vedi sopra alla voce "broker") sui generis: un po' Madre Teresa di Calcutta, un po' Mary Poppins, un po' Paola Cortellesi, di giorno licenzia poveri disgraziati mentre di sera, tormentata dal rimorso, s'affaccenda di brutto per trovare un posto agli stessi cacciati prima (cambiare lavoro no, eh?).
Brava gente, questi personaggi(ni) alla febbrile ricerca di (com)piacere, ancorati ad una realtà che non esiste, se non sulla carta (igienizzata dalle sporcizie del comune vivere) tradotta poi in celluloide ammuffita. Stantie le dinamiche che li riguardano, dalle conseguenze dell'ammore (il bacio finale è un sigillo di garanzia mortifera), agli effetti (tragicomici, con codificata curva emotiva) della convivenza coatta con la prole in pratica sconosciuta (ragazzotti molto "alternativi" e incazzosi, come si conviene), per finire con i bisogni(ni) e le fatiche della quotidianità (badante, casa e suv lussuosi annessi).
Caratterizzazioni flaccide e vacue, tanto più tediose ed espressamente finzionali quanto più si avvicinano all'inevitabile sommatoria di gaie risoluzioni. Ognuno assume piena consapevolezza di sé prendosi le proprie responsabilità e "andando avanti", anche se fino a un attimo prima dimostrava profonda inadeguatezza e conscia stagnazione nei luoghi felici del dolce caotico benessere familiare (e familistico). Ma poi basta emigrare a Londra, e si risolve tutto. Figurarsi.
La Cortellesi, neanche a dirlo, è brava: con la sua verve, sebbene non si discosti granché dai suoi standard abituali (soprattutto nell'ambito del piccolo schermo), sopperisce alla modesta presenza degli altri attori in generale (vedi Tea Falco, ad anni luce dal gioiello bertolucciano Io e te) e dello stanco/stancante Verdone in particolare.
Da sola regge la vecchia baracca fatiscente, le cui fondamenta umoristiche sono d'una fragilità disarmante: poche battute vanno a segno, il resto è un pot-pourri stopposo di gag risapute, non di rado ancorate ad una volgarità fuori tempo massimo (battute sulle dimensioni del pene e su eiaculazione precoce comprese; il giochino dei finti accoppiamenti con tanto di urla orgasmiche e trionfale gesto dell'ombrello: tiè!), siparietti sentimentali (vedi il "divertentissimo" sketch della lingua tra i due protagonisti), situazioni di puro alleggerimento/scazzo (la presenza del pitone) e intingoli tragicomici (patetica la scena dello scambio di carrozzine, che evoca quella celebre fantozziana, indiscutibilmente migliore).
Da culto (della fuffa), infine, la furbissima ode coatta degli "esticazzi".
Sì, la stella di Verdone è sempre più cadente.
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