Regia di Carlo Verdone vedi scheda film
Entrare a patti con lo stereotipo, il buonismo, l'assenza di buona (e sana) cattiveria. Verdone recita, la Cortellesi recita, gli altri fanno finta di recitare, in questa nuova commedia tutta simpatica e allisciata che vuole dare un altro ritratto di un'Italia sconvolta dalla disoccupazione e dalla perdita dei valori, dopo il mediocre Posti in piedi in Paradiso. In particolare Tea Falco, che tanto si era dimostrata abile e gradevole in Io e te, qui si esibisce con la sua profonda voce da contralto nella ridicola figurina della figlia del protagonista (appunto, Carlo Verdone), figlia sulla quale proprio il regista sembra voler calcare la mano come a voler indagare psicologicamente una macchietta sullo schermo, un personaggio che appare e scompare e non si sa bene perché dovremmo rattristarci per lei, visto che sembra la brutta copia della figlia scappata in Il mio miglior nemico. No, in Sotto una buona stella l'espediente della ricerca della figlia è solo uno dei continui siparietti da sketch e da lacrimuccia che il film di Verdone propugna senza la capacità (persa da un po' di tempo, e irraggiunta neanche nei suoi film recenti più riusciti) di osare più di tanto, calcando sempre la mano su quelle che sono le storie che fanno ridere e fanno piangere, secondo le indicazioni del tonitruante commento musicale, e su quelle storie che in genere hanno (o vogliono mostrarsi con) un'"anima", come dice lui stesso ai musicisti che fanno l'audizione all'altro figlio maschio: ma quest'"anima" è davvero la rappresentazione piatta e altalenante di una storia che è fin troppo posticcia e risaputa per convincere appieno. Nello specifico di diverse scene, Verdone sbaglia tutti i tempi cinematografici, privando Sotto una buona stella di quella fluidità che nel basso livello caratterizzava anche Posti in piedi in Paradiso, e nella necessità impellente di riempire quantomeno un'ora e mezza, il torpore rischia di farsi sentire, fra serpenti dispersi, fidanzati londinesi, scivoloni delle governanti e scambi di culle: il film diverte e coinvolge soltanto quando la Cortellesi è in scena (meno di quanto si spererebbe), e anche in quei casi questa è costretta a un ruolo da spalla neanche tanto approfondito e che pure nella sua storia di tagliatrice di teste sola e abbandonata poteva essere sviluppato più di quella della moscia Lia/Tea Falco (ancora la figlia del protagonista) che ha una figlia a carico e una profonda aspirazione nei confronti della poesia, così come il fratello per la musica. E' infatti anche il conflitto generazionale quello che Verdone tiene a mettere in scena, intervallando fra una trovata divertente e una più stupidotta e grossolana la commovente esibizione del figlio nella canzone scritta per la madre morta (lo smielato incipit convince già poco, e dà un'idea del tono che si sente nel resto del film), le scritte della figlia sul diario e le sfuriate della prima fidanzata del protagonista, come per cercare di salvare in termini didascalici quel che questo script può mai salvare di una storia che si trascina con fatica e che trova in strumenti poco opportuni il desiderio di conformarsi a uno schema comprensibile e fin troppo consolatorio (ma perchè, il litigio subito prima del finale lo si può davvero spiegare come frutto di una riflessione sana da parte del protagonista?) e di riconoscersi in un piccolo tipo di cinema superiore alla media che certo si fa strada tra una maceria e un'altra di una moderna commedia italiana anni 2000 già vecchia e desolante. Questo per dire che le risate ci sono e sono pure chiassose, in certi pochi momenti, ma il tutto è condito da una dose sovraccarica di sentimentalismo e didascalismo che certo non fa giustizia al passato glorioso del fu Carlo Verdone. Innocuo, francamente stancante, Sotto una buona stella implica necessariamente simpatia per Verdone e per la Cortellesi: se li si detesta, il film non ha altro valore se non quello di non cadere (eccessivamente) nel ridicolo. D'altro canto poco può convincere il confronto fra i due protagonisti la cui parola d'ordine è "fallimento" come tutti gli (pseudo-anti)eroi di Carlo Verdone, e poco può commuovere la sentitissima volontà di parlare di famiglia, di riappacificazione e di nuove speranze, specie se tutta quanta la storia è una continua alternanza di risate e insistite riflessioni, sbellicamenti e emozioni riciclate. Francamente evitabile, se ne potrebbero estrarre giusto due o tre scene che da sole trascinano l'intero lungometraggio, come il finale da una parte e dall'altra del muro di compensato e la Cortellesi con la febbre a 39,8 e tutti i provvedimenti di Verdone per misurarle la temperatura.
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