Regia di Alessandro Lunardelli vedi scheda film
Fino in fondo alla visione di questo film ci si arriva non senza provare un po' di noia e di spaesamento. Oggetto più curioso che effettivamente brutto, l'opera di esordio di Alessandro Lunardelli si trascina confusamente tra differenti tipologie di genere e location per tracciare le linee di un racconto semplice e prevedibile (i turbamenti del giovane protagonista e i suoi passi verso la crescita).
La sensazione è che la meta sia (probabilmente) nota al regista, ma solo a lui; e che poi, di conseguenza, non sia riuscito a rendere chiara la sua idea e soprattutto a trasferirla in maniera logica e compatta nel film.
Benché, come poc'anzi accennato, si tratti di una storia semplice (di suo non è affatto un'aggravante, anzi), ci sono fin troppi fili tematici appiccicati, aggrovigliati al nucleo narrativo. Crisi varie (d'identità, familiari, economiche), questioni legate alle specificità (sociali, storiche, politiche) di un Paese lontanissimo come il Cile, innesti (spicci) di attivismo ambientale, sguardi (sfocati) into the wild.
Elementi esposti - chi più chi meno - in superficie e non di rado come mero pretesto finzionale, magari caratterizzati da schematismi triti (l'omosessualità del ragazzo, che peraltro pare aver ereditato la "pazzia" della madre che li aveva abbandonati anni prima mentre il fratello è copia paterna, figura dura e paranoica), con inoltre immancabili nervature di provincialismo tipico e note di colore didascaliche (le musichette che "avvertono" del cambio di ambientazione così come il motivo posto in apertura che introducono nel giusto "mood", movide ispaniche e violenza urbana sudamericana, frasi-sentenze del tenore «la vita è impietosa»).
Manca insomma la necessaria omogeneità al composto - che pure non è privo di meriti (innanzitutto la sincerità) e ragioni di attenzione, ed in generale non ammicca con fare becero alla maniera di molti prodotti odierni) - ma il copione, già infarcito di eccessivi ingredienti, presenta passaggi e momenti sovente forzati, come fossero frutto di un'impreparazione che lascia palesi grumi sgradevoli.
In tal modo il passo - nel ritmo, nella tenuta di intreccio e personaggi - risulta perlopiù farraginoso, disordinato e disarticolato; e l'evidenza di ciò è dipinta sui volti degli attori che trasmettono lo spaesamento di una guida incerta, spostando così l'asse portante dell'opera da un potenziale interesse verso un sostanziale distacco.
Due parole, infine, sul cast: al bravissimo Luca Marinelli (non è certo una novità) si contrappone l'opaca prova di Filippo Scicchitano, maggiormente penalizzato dalla sceneggiatura.
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