Regia di Alessandro Lunardelli vedi scheda film
Fino alla fine del mondo è la destinazione metaforica che diventa mappa geografica quando si parla della Patagonia, meta ultima e quasi del tutto accidentale per i protagonisti di un road movie che incastra in un’auto quattro anime poco affini. C’è Davide che è scappato da una vita soffocante e dalla sua condizione di gay non dichiarato, per inseguire un ragazzo che, più che l’amore, rappresenta la libertà; c’è Loris che è il fratello maggiore di Davide e cerca di riportarlo a casa, scoprendo che forse hanno concetti diversi di “casa”; c’è Ana che è innamorata dello stesso ragazzo di cui i due seguono le tracce, ma soprattutto del suo idealismo e della causa ecologica per cui lotta; e c’è Lucho, tassista un po’ opportunista che nasconde un passato da galeotto sotto il regime di Pinochet. Dalla provincia industriale a Barcellona, da Santiago del Cile a un ghiacciaio alla fine del mondo, l’opera prima di Lunardelli fa del dinamismo il suo pregio e il suo difetto: troppo rapidi i passaggi e le decisioni dei personaggi, troppo in superficie i moti dell’anima che spingono l’azione.
Esordio generoso, che percorre sentieri poco battuti (un bel mix di commedia surreale e dramma, che non eccede in patetismi e asciuga situazioni retoriche), lascia un po’ smarriti i bravi interpreti (Scicchitano sta maturando; Alfredo Castro, volto feticcio di Pablo Larraín, è una garanzia; Marinelli è uno dei migliori attori della sua generazione), alle prese con una sceneggiatura ondivaga e non sempre credibile. Però tiene gli occhi ben puntati sulla strada.
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