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La cicatrice interiore

Regia di Philippe Garrel vedi scheda film

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La recensione su La cicatrice interiore

di OGM
8 stelle

Philippe Garrel e Nico. Una coppia nella vita, e sullo schermo. Lei canta Janitor of Lunacy, un brano dedicato alla memoria del suo amico Brian Jones, fondatore dei Rolling Stones, tragicamente scomparso pochi mesi prima. Lui, intanto, cammina lentamente in una landa desolata, sullo sfondo uniforme di un orizzonte lontano. Si muove in cerchio, restando impassibile, mentre lei, seduta a terra, si dispera. Il mondo è vuoto, esistono soltanto loro due, l’una con il suo dolore incompreso, l’altro con il suo indecifrabile silenzio di vagabondo che sa di muoversi invano. L’universo è piccolo, non c’è nulla verso cui andare. Tutto è confinato nell’al di qua, dove lo sguardo si perde, illudendosi di poter spaziare nell’infinito. In realtà anche il tempo è limitato. Questo paesaggio rarefatto e quasi immobile sembra precedere l’inizio di ogni storia. È il ritratto di una Genesi pagana, con un eden freddo e inospitale in cui un uomo, una donna, un bambino e un dio nudo a cavallo aspettano che la creazione cominci ad agitare le acque, a mescolare gli elementi, a far sì che il ghiaccio si sciolga, il fuoco trovi qualcosa da bruciare, la terra si popoli di forme di vita. Prima che ciò accada, si può solamente viaggiare senza meta, guardando un paesaggio inerte: un’avventura ripetitiva, pacatamente ritmata come il battito di un cuore a riposo, che si realizza nella dimensione interiore, come esplorazione del proprio pensiero. Il cinema di Garrel  è il cinema delle premesse: quelle che sonnecchiano in un antico dormiveglia, indugiano con una timidezza tipicamente giovanile, e poi si schiudono sull’evidenza di una drammaticità senza uscita. L’incanto del mito è promettere il divenire, il compimento del senso, senza però metterci in condizione di capire come e di sapere quando. Questo film esprime una muta contemplazione carica di nostalgia e di aspettative non meglio precisate, che si condensano in un accorato messaggio d’amore: un’invocazione rivolta al compagno della vita, all’unico figlio, al cielo da cui tutto proviene e a cui forse tutto è destinato a ritornare. L’estasi è lo stato ipnotico della speranza: e quest’opera ce ne restituisce il cupo risvolto psichico, fatto di cecità, di solitudine, di follia. La cicatrice intérieure  rappresenta lo stadio ancestrale del desiderio, intrappolato nei misteri delle nostre origini spirituali, dove è racchiuso il segreto della distinzione tra il bene e il male, tra il possibile e l’impossibile, tra il divino e l’umano. Tesi e antitesi si separeranno solo alla fine dei tempi. We can never be here, not until we are gone.  

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