La recensione su Incompresa

di alan smithee

6 stelle

CANNES 2014 – UN CERTAIN REGARD

Ad Asia Argento regista si perdonano, con motivazioni che in parte condivido, eccessi, ingenuità, cattivo gusto e una irrinunciabile attrazione per i personaggi dannati e perseguitati, grazie alla forza vitale che trapela nel personaggio posto al centro del racconto o della vicenda: come già nello sconclusionato e forse indifendibile "Scarlet diva", come nel decisamente migliore "Ingannevole è il cuore", anche lui a Cannes anni fa ma alla Quinzaine, qui brilla una figura su tutte le altre, mediocri o incomplete, che ha una potenza ed una capacità di catturare l'attenzione dello spettatore, distraendolo dalle scene madri esagerate, dalle disperazioni senza freni, dalle urla sguaiate e dalle scenate isteriche dei folli personaggi, sempre puntualmente belli e dannati, che popolano il circondario del nostro protagonista.

Aria, in questo caso, questo è il suo nome: intelligentissima e dotata bambina di nove anni, figlia sensibile e fin troppo matura di un egocentrico ed avvenente attore sulla cresta dell'onda e di una sciroccata pianista francese: una coppia di belli e dannati, strafumati ed egoisti, che, nel separarsi, si spartiscono ognuno la propria figlia di primo letto, destreggiandosi la nostra poverina come una pallina da tennis che volteggia da una metà campo all'altra nel più lungo e controverso, crudele ed amorale dei palleggi di responsabilità tra due genitori immaturi e stolti.

Certo due genitori del genere richiamano un po' tanto pesantemente quelli di Asia, o, in modo ancora più sadicamente autolesionista e distruttivo (e forse fieramente e oltraggiosamente sincero), sé stessa ed il suo ex consorte cantante Morgan (appare pure la figlia dei due Anna Lou, e non è certo un caso) in una inversione di ruoli (nella fiction è lui l'attore e lei la musicista, nella vita vera l'esatto contrario). Ma Asia pare infischiarsene, o non per questo decide di non affilare il coltello sulla immaturità ed irresponsabilità di due personaggi di genitori immaturi e pericolosi, che tuttavia, certo senza premeditazione, finiscono inconsapevolmente per disegnare una vita-calvario alla nostra incompresa, formandola tuttavia ad imparare ad affrontare le difficoltà ed amarezze più difficili da sopportare: l'essere appena sopportata anziché amata ed apprezzata, magari derisa, trattata male, incolpata in ogni circostanza: ma anche resa forte, indipendente e ostinata e risoluta.

Se Gabriel Garko fa rabbrividire quanto è lecito aspettarsi, ma in modo coerente al personaggio che nessuno meglio di lui avrebbe potuto, se non interpretare, diciamo almeno rispecchiare, Charlotte Gainsbourg, amica di recitazione e probabilmente di vita della regista, è l'attrice più prossima e vicina per rendere un clone della Asia perduta della vita reale (che fu).

Ma la vera sorpresa, ed il valore autentico di tutto il film è la splendida Giulia Salerno, esile in gonnellina, zainetto e gabbia con gatto nero fedele e dalle fusa facili, bimba tenera ma tenace, raminga ed esiliata senza tregua o pudore; viso magro tutto occhioni smarriti, ma mai domi o arrendevoli, ed anzi ostinati alla ricerca dell'accettazione da parte di un mondo di mediocri e superficiali che non riesce a vedere oltre il basso profilo invalicabile che li rende così tristemente vuoti e banali.