Regia di John Boorman vedi scheda film
Adottando uno stile proveniente dal contemporaneo cinema d’autore europeo (free cinema, nouvelle vague godardiana e di Resnais), ed un linguaggio frammentato, a tratti psichedelico, John Boorman all’esordio, firma un film di violenza inaudita, precursore della nuova Hollywood anni “70. Antiretorica, durezza ed essenzialità gli ingredienti di un formidabile registro filmico che farà rapidamente scuola innovando il polar americano e non solo (“Chi ucciderà Charlie Varrick”, “Getaway!”, “Milano calibro 9”, “Carter”). Nel film si narra del gangster Walker, tradito ed “ucciso” durante una rapina dal migliore amico (nonchè amante della moglie). Sopravvissuto ai proiettili ma fantasma di se stesso, sorretto dagli incubi del passato e da frammenti di déjà vu (una sorta di Robocop ante litteram), ritorna in cerca di vendetta e del bottino perduto, incurante di essere la pedina di un gioco di potere più grande. Nello splendido finale, scomparirà misteriosamente nello stesso luogo dov’era stato colpito (la simbolica prigione di Alcatraz), legittimando una chiave di lettura alternativa che vedrebbe l’intera vicenda come il frutto onirico della lunga agonia. Numerose le scene memorabili: la camminata imperterrita del protagonista lungo un corridoio, con il rumore dei passi a scandire un crescendo di tensione “alla Leone”, la Dickinson che si concede al traditore in una delle prime significative sequenze di nudo, la stessa attrice (encomiabile) laddove rabbiosamente, schiaffeggia fino allo stremo delle forze un impassibile Walker, le devastanti irruzioni di quest’ultimo ed il finale già menzionato. Probabilmente siamo di fronte alle prove più riuscite in carriera sia per Boorman che per un superbo Lee Marvin, anticonvenzionale nel donare al suo antieroe oltre ad un potente physique du rôle anche intense sfumature interpretative prive di enfasi ed istrionismi. Opera da rivalutare fino al capolavoro.
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