Regia di Theodore Melfi vedi scheda film
Ci sono stili, attitudini, caratteristiche comportamentali molto diverse per tendere alla santità.
E' questa la lezione che ci vuole insegnare questo piccolo, innocuo ma divertente film legato al disagio o malessere quotidiano, al tentativo di sopravvivere a problematiche più grosse di noi senza dimenticare un'ironia di fondo che è l'antidoto che spesso ci consente di andare avanti.
Vincent è un pensionato scontroso e infido, o almeno così ci viene presentato: beve e gioca ai cavalli, perdendo una fortuna alle scommesse, inseguito dai creditori e dalla banca che non può più fargli credito. Il giorno in cui traslocano nella casa accanto una madre quarantenne col suo figlioletto dodicenne Oliver, Vincent approfitta subito per cercare di lucrare in ogni modo, soprattutto disonestamente, sui punti nevralgici di quel che resta di una famiglia, forse un tempo felice. Assunto come babysitter, accudisce, a suo modo, il ragazzino, che tuttavia impara ad apprezzarlo e a far buon uso delle sue scalcinate ma non poi così assurde lezioni di vita.
Mentre trascorrono i pomeriggi assieme, il bambino (e noi spettatori assieme a lui), apprende il vero dramma che sta dietro questa esistenza che gira a vuoto di Vincent: un ex veterano decorato con una moglie affettuosa ricoverata in una costosa clinica per un invecchiamento cerebrale precoce da Alzheimer. Ed iniziamo a comprendere e ad accettare le sue strambe frequentazioni (con una spogliarellista incinta di origine balcanica – la straordinaria ed inedita Naomi Watts, più sexy del solito).
E quando Oliver dovrà portare a termine una sua ricerca sul suo santo preferito ed ideale, il ragazzo non avrà esitazione né difficoltà alcuna nello sceglierne uno proveniente dai nostri giorni, quello che è riuscito ad insegnargli come stare al mondo: il suo strambo vicino di casa, ovvero St. Vincent.
Commedia leggerissima e facile, non presenta guizzi di regia dato che il regista esordiente sceglie saggiamente di attaccarsi alla verve recitativa del grande Bill Murray, che si ritaglia per l'occasione un ruolo straordinario paragonabile a quello dei tempi di “Ricomincio da capo”.
E a Murray il ruolo di “burbero con giustificazioni” si cuce addosso con la perfezione sartoriale di un celeberrimo stilista: una parte che solo una decina d'anni orsono sarebbe toccata automaticamente al grande Jack Nicholson e alla sua straordinaria gigioneria controllata, ritmata dal noto ghigno diabolico, con Murray si trasforma in una recitazione “per sottrazione”, essenziale, scarna, lasciata solo alla mimica corporea del suo squinternato corpo sbilenco dall'andatura alla Pippo della Disney e all'espressività facciale atona che raggiunge vette di comicità degne dei padri del genere.
Tra gli altri interpreti qui impegnati, una pingue ma dolcissima Melissa McCarthy rinuncia molto questa volta alla sua verve esplosiva, per rappresentarci al meglio una figura dolorosa ma combattiva di madre aggrappata con tutte le sue forze ad una custodia che per lei significa la vita, la sopravvivenza: tutto ciò senza rinunciare a qualche riuscita battuta esilarante, seppur in un contesto dai risvolti piuttosto drammatici.
Dal canto suo il piccolo Jaeden Lieberther è uno scriccioletto funzionale che pare un Macaulay Culkin saggio e posato: un frugoletto tenero ma risoluti che sa adattarsi alla situazione per sopravvivere ed ambientarsi ad un ambiente apertamente ostile, imparando a riconoscere chi può realmente agevolarlo ed utilizzando tutto il proprio estro per valorizzarne i merito, presenti e passati.
Nel superficiale e spesso greve panorama cinematografico natalizio di quest'anno, St. Vincent risulta come una piccola piacevole sorpresa un po' balorda ma pertinente al periodo, col merito di confermare una volta per tutte la grandezza di un attore geniale per il solo fatto di apparire.
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