Regia di Hiroyuki Tanaka vedi scheda film
L'horror è (un) morto.
Nel film di Sabu (pseudonimo di Hiroyuki Tanaka) , è come se l'arrivo dell'ospite-zombie mettesse in luce la realtà dissimulata, i demoni interiori dei protagonisti, così da sconvolgere l'intero equilibrio domestico (si pensi all'arrivo in Kynodontas [2009] dell'agente di polizia che, anche in questo caso, rappresenta una figura di rottura, sostanzialmente rivelatrice e salvifica, che fa detonare l'(apparente) armonia casalinga), risultando comunque un elemento di frattura indispensabile per far sì che, in maniera spietata e malsana, attraverso l'emergere del lato folle e perverso dei personaggi, la madre scopra le verità coniugali che la riguardano e cerchi, di conseguenza, di ripristinare la propria emancipazione matrimoniale e genitoriale, poiché tutti - in questo caso il marito - si mostrano per quello che sono: umani troppo umani, deboli alla carne, recipienti di depravazioni e desideri sessuali che bollono in continuazione. La genitrice, così facendo, può, in maniera dolorosa ma necessaria, cicatrizzare le proprie ferite esistenziali e dissipare i propri dubbi familiari, perché, appunto, tutte le reali intenzioni (maschili) verranno a galla e non lasceranno spazio ad altre insicurezze. La pazzia, da parte della madre, è intesa quindi come risveglio, come punto di non ritorno salvifico. Tutto questo è, a conti fatti, un male necessario per riappropriarsi del proprio ruolo di genitore femminile, per ricomporre la propria immagine-madre. La figura materna, insomma, cerca di riacquistare la propria identità viol(ent)ata.
Nella pellicola del regista nipponico, l'orrore non viene dagli zombie ma dagli uomini; si potrebbe dire che, soprattutto visto il proseguire del lungometraggio, la "situazione zombiesca" pare contenere più umanità rispetto agli stessi esseri umani.
Miss Zombie è un'opera minimale, ipnotica e destabilizzante. Sabu dà vita (e morte) ad una storia dolce e crudele al tempo stesso, aspetti che accomunano la suddetta pellicola al film sudcoreano Thirst [2009]. Sospeso tra un The Temptation of St. Tony [2009] più "moralizzato" e un The Addiction [1995] "zombieficato", Miss Zombie risulta essere un lungometraggio immerso in un'affascinante rarefazione stilistica, con un aspetto formale scivoloso, nonché stratificato, delicatamente abissale - si pensi ai film più recenti di Lars Von Trier -, passando però, nonostante la mise en scène scarna, per un importante aspetto narratologico dai richiami (perversioni) sessuali del Teorema [1968] pasoliniano. La donna - principalmente la protagonista -, qua è vista come schiava, soggiogata da altre figure; di conseguenza, questa prigionia vitale, quasi antropologica, è riscontrabile anche in una reclusione visiva presente nell'opera, che riporta alla mente le inquadrature "escludenti" di Valhalla Rising [2009]. La ragazza-zombie è spesso ai margini dell'Immagine, messa fuori (fuoco) da essa. Il quadro visuale è, quindi, esploso, e i personaggi soffocano in esso, mostrando una sorta di malessere corporeo, in cui la carne è costantemente inquieta, palesata o, meglio, suggerita allo spettatore sottoforma di epidermide - forma filmica - febbricitante, traboccante, apparentemente sempre fuori posto, fuori luogo. In base a ciò, è impossibile non pensare - per lo meno ad alcuni aspetti - al Cinema sensoriale di Grandrieux. Parlando del montaggio, invece, questo appare a tratti disorientante e nervoso - quasi impaurito -, riportando alla mente quello più recente di Mein Blindes Herz [2014]. La fotografia è acceccante ed alienante, la quale valorizza alcune sequenze sublimi ed estetizzanti che richiamano alla memoria la pellicola Antichrist [2009] del filmaker danese - in entrambi i casi, non è forse la donna (in)tesa come il filo che unisce bene e male/nascita e morte/amore e odio, in cui trovano il proprio appiglio, in modo del tutto instabile, le voglie più estreme, ataviche e naturali? Tornando all'aspetto fotografico, la luce è catturata in maniera straordinariamente esasperata, dando agli edifici un'impronta pressoché metafisica, per i quali la loro geometria, compresa quella relativa agli spazi, la si potrebbe definire "antonioniana": chirurgica, perfetta, algida; invece, per quanto riguarda gli interni e i dettagli presenti in essi, si potrebbero circoscrivere come "tsukamotiani": tangibili, metallici, contundenti, paradossalmente in costante 3D per i sensi. Alcune trovate registiche le si potrebbero ritenere encomiabili ed intelligenti; dai virtuosismi riguardanti le prospettive, che rimandano al cinema di Maya Deren (la sequenza che si svolge nelle scale, accostabile a quella presente in Meshes of the Afternoon [1943]), alle suggestive zoomate kubrickiane (queste, in Shining [1980] e in Miss Zombie, mettono in evidenza lo sguardo mattoide dei personaggi, nonché la loro personalità paranoica ed invasata). Degni di nota anche i flashback (mai troppo chiarificatori) che sottolineano una zombieficazione di massa à la Romero (La Notte dei Morti Viventi [1968]) . Per ultimo, ma non per questo meno importante, è giusto menzionare anche lo stordente e conturbante tappeto sonoro.
Non resta che esser interiormente zombie, quindi morti, e rimanere (co)stretti in un bianco e nero quotidiano, vitale, perché il colore è solo un'effimera possibilità di equilibrio, destinato a scemare.
Infatti, lo zombie-donna tende man mano ad umanizzarsi sempre più e, proprio per questo, ad essere tendenzialmente più esposto ai sentimenti e al pericolo, come l'alieno-donna del film di Glazer, Under the Skin [2013]; ambedue i personaggi principali, infatti, verranno accolti dalla stessa (opposta) morte durante il finale.
La poetica di Hiroyuki Tanaka (Sabu), visti anche i suoi altri film (Dead Run [2005], Drive [2002], etc), è mossa da una rimasticazione (nipponica) dei generi cinematografici. Si potrebbe addirittura azzardare un parallelismo con il regista americano Quentin Tarantino. Nonostante i molteplici richiami, se si osserva con attenzione il Cinema del filmaker giapponese, si ha la sensazione di assistere a qualcosa di sorprendentemente originale.
Per chi scrive, in base a ciò visto finora, Miss Zombie è, se non il migliore, uno dei più grandi "horror" (le virgolette sono d'obbligo) del decennio.
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