Regia di James Ward Byrkit vedi scheda film
C’è chi, per un nonnulla, si permette di scomodare la meccanica quantistica. Se ne serve per affermare che la realtà non è una sola, è la combinazione di tutti gli stati possibili: sì/no, rosso/blu, qui/lì, prima/dopo. Oppure vivo/morto, come solo il gatto di Schrödinger può essere, contemporaneamente, fintanto che resta chiuso nella scatola e nessuno lo vede. Sdoppiare il mondo è sempre un’operazione pericolosa. Non tutti sanno agilmente governare quel conturbante paradosso che consiste nel moltiplicare la visione dei fatti mantenendo una prospettiva unica. L’effetto del così è, anche se non vi pare è un obiettivo sfuggente, che non si lascia tanto facilmente raggiungere sulla superficie piatta dello schermo, dove non esistono profondità né ramificazioni, e la sequenzialità è una legge inderogabile dettata dal funzionamento della macchina da presa. Anche quando ad essa si sostituisce la videocamera, mettendo la propria instabile leggerezza al servizio del preteso dinamismo concettuale, il risultato rischia di ridursi ad un tremolio dal quale la rigidità della narrazione è appena scalfita. Questo thriller aggiunge, ad una situazione soprannaturale e claustrofobica - memore de La notte dei morti viventi e di Paranormal Activity - uno sforzo di concitazione che tenta inutilmente di immettere la suspense nella fibra contorta della stratificazione degli eventi. L’unico vero interrogativo, per lo spettatore, riguarda il problema di non sapere cosa stia accadendo, poi quello di non capirne il senso, e da ultimo, quello di cercare una soluzione che non si perda, semplicemente, nella passiva accettazione di un mistero travestito da artificioso garbuglio. Tutto inizia con la solita allegra serata tra amici: otto quarantenni si trovano in casa di due di loro, per cenare insieme. Intanto, nei cieli, si appresta a passare una cometa: un raro fenomeno astronomico che, secondo alcune autorevoli voci circolanti, potrebbe avere conseguenze sconvolgenti. Prima si spaccheranno i display dei telefonini. Poi salterà la corrente. Il black out riguarderà l’intera zona, tranne un’altra casa, poco distante, nella quale, stranamente, le luci resteranno accese. Questa è la poco originale premessa di un dramma che, dal punto di vista narrativo, finirà per accontentarsi del caos causato dall’intrusione dell’assurdo, della confusione improvvisamente intervenuta a sovvertire le certezze più basilari, quelle riguardanti i principi di identità, del terzo escluso e di non contraddizione. La logica classica si fa da parte, mentre entra in crisi anche la comune percezione spazio-temporale: una circostanza da fantascienza pura, che qui, però, viene meno ad uno dei compiti principali del genere, che prevede di incanalare l’inconcepibile nel solco dell’interpretazione razionale. I tentativi in tal senso non mancano, però vengono lasciati a metà, senza mai comporsi in un discorso che – come sarebbe auspicabile – acquisisca mano a mano di organicità e completezza. Coherence vorrebbe essere un trattato in vivo sulla cosiddetta decoerenza (assenza di interazione fra gli stati simultanei di un sistema), quasi un coltura in vitro di questa teoria della fisica moderna, praticata su un gruppo di persone qualunque, messe in isolamento e costrette a confrontare le rispettive storie personali con una inafferrabile complessità ontologica. L’esperimento è davvero succulento, per chi abbia una mente analitica, padroneggi la scrittura, ed abbia una gran voglia di inventare. Aspettiamo dunque che qualcun altro, con i giusti requisiti, si faccia sotto. Come si suol dire: avanti il prossimo.
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